“Il richiamo della foresta”, di Jack London

Creato il 18 marzo 2011 da Fabry2010

Recensione di Giovanni Agnoloni


Jack London
Il richiamo della foresta. Bâtard. Preparare un fuoco
Traduzione e cura di Davide Sapienza

(ed. Feltrinelli, € 7,00)

Bâtard, Il richiamo della foresta, Preparare un fuoco. Tre racconti di Jack London (1878-1916) – due brevi, uno lungo e celeberrimo –, magistralmente inanellati, introdotti e tradotti da Davide Sapienza, per questa bella edizione Feltrinelli.
Il curatore mette fin dall’inizio in luce il valore di storia archetipica de Il richiamo della foresta, che condivide con Bâtard e Preparare un fuoco un aspetto essenziale: l’essere una rappresentazione emblematica dell’eterno confronto tra l’uomo e la Natura, colta nella sua componente selvaggia e indipendente.
Questa è la wilderness, in cui si gioca una partita decisiva, quella tra l’uomo e l’ambiente, ma soprattutto tra l’uomo e l’animale.
Il tutto, sullo sfondo del Grande Nord americano.

In Bâtard è il male il protagonista. È la storia di un odio radicale, quello di un padrone per il cane maltrattato da sempre, diventato feroce e determinato quanto lui. Il duello tra i due diventa sempre più accanito, in un reciproco ‘farsi la posta’ dall’esito tragico.

Nell’immortale Richiamo della foresta, l’elemento panico della Natura si manifesta attraverso un’esperienza dal profondo significato simbolico: quella che ha per protagonista il cane Buck, rapito dalla sua comoda vita in una lussuosa casa nel Sud e aggregato a una muta di cani da slitta nel Nord. Il confronto con la durezza degli uomini e dei loro bastoni, degli altri animali e del clima rigido è aspro. Attraverso questo percorso, di cui giustamente Sapienza, nella sua prefazione, sottolinea la valenza archetipica, Buck acquista non solo una forza smisurata, diventando il capo della sua muta, ma la percezione intima di una memoria ancestrale, che lo lega ai lupi del passato remoto e a quelli dell’oggi.
Solo l’amore immenso per un nuovo padrone, John Thornton, lo trattiene dal lasciarsi andare al richiamo della dimensione selvaggia, quel Call of the Wild (il titolo inglese dell’opera) che sposta l’asse della sua esistenza al di là delle abitudini legate al rapporto con l’uomo. Infine, però, la Necessità o il Destino troncheranno quel magico rapporto affettivo e lo spingeranno a mollare anche quell’ultima resistenza, e ad affidarsi totalmente alla profondità del suo essere.

Con Preparare un fuoco, il punto di osservazione si sposta ancor più sulla wilderness nella sua crudezza. Si tratta di un autentico capolavoro di filosofia epicurea, piccolo poema sull’indifferenza della Natura davanti all’impotenza (e all’ottusità) dell’uomo che cerca di farsi strada nel gelo estremo. La vita diventa una luce flebile come quella del fuoco che il viaggiatore cerca di accendere, dopo aver sfidato incautamente i limiti imposti da quell’ambiente. Resta lo sguardo del suo cane, che prende atto del dramma che si sta consumando e passa oltre.

Perfetta, la combinazione di queste tre storie, involontaria trilogia che fotografa il rapporto dell’uomo col cane da tre punti di vista diversi, ma tutti radicati in una natura dal respiro cosmico. Siamo alla radice di un approccio letterario di cui lo stesso Davide Sapienza è un felicissimo interprete: quella che io chiamo letteratura olistica, che ha il proprio punto di osservazione nel Tutto universale che è la vita.
L’uomo, l’animale e i luoghi sono parimenti protagonisti e spettatori, e ogni narrazione – comprese le tre splendide storie di questo volume – emerge come un piccolo iceberg dall’infinito mare del tempo, per poi reimmergervisi come ghiaccio sciolto, una volta finita, lasciando perdurare solo un’eco – o uno spirito aleggiante.
Come quello di Buck, alla fine de Il richiamo della foresta.



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