Il riequilibrio dell’Asia-Pacifico e il sistema di alleanze nel sud-est asiatico

Creato il 30 settembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

L’India, parzialmente affrancata dalle limitazioni di carattere politico ed economico che pregiudicavano le possibilità di espandere la sua influenza e interessata alla propria sicurezza strategica, è naturalmente portata a focalizzare l’attenzione sull’Oceano Indiano e sulle questioni regionali. Oggi la maggiore preoccupazione del paese è da rintracciarsi nel timore dell’ascesa cinese, cui Nuova Delhi cerca di opporre una nuova strategia regionale e un rafforzamento dei rapporti con gli Stati Uniti. Politica evidentemente gradita a Washington, il cui interesse nel recuperare in Asia il ruolo di attore di riferimento in chiave anti-cinese è ormai manifesto e ampiamente confermato.

La “dottrina marittima” del 2007 sottolinea il ruolo centrale che il pensiero strategico indiano assegna all’Oceano Indiano e la determinazione di esercitare una certa influenza sull’intera regione. Per ottenere maggiore spazio e autonomia, Nuova Delhi è impegnata da qualche anno a sviluppare le sue forze navali ed aeree, così come a siglare con i paesi dell’Oceano Indiano e del sud-est asiatico accordi che includano migliori condizioni commerciali, esercitazioni militari congiunte, aiuti allo sviluppo e cooperazione energetica in vista della costruzione di nuove infrastrutture. Il paese si è impegnato – oltre che nel migliorare le relazioni con gli Stati Uniti – ad assicurarsi il controllo dei vari varchi d’accesso all’Oceano Indiano coltivando i rapporti con i paesi adiacenti alle aree di transito strategico: per esempio lo Stretto di Hormuz che ha spinto l’India ad approfondire negli anni i rapporti con il governo iraniano, e gli Stretti di Singapore e Malacca che hanno portato rispettivamente ad un avvicinamento con Singapore e la Thailandia.

Tra la Thailandia e l’India fu creata un’area di libero scambio già nel 2003 e da allora le relazioni tra i due paesi si sono sviluppate anche grazie alle crescenti preoccupazioni di Bangkok per la presenza di militanti islamici nel sud del paese. Ufficiali dell’intelligence di entrambi i paesi hanno avviato una collaborazione fatta d’intensificazione dei contatti e di coordinamento tra le forze armate in relazione all’area dello Stretto di Malacca. È plausibile credere che Bangkok guardi con interesse all’ascesa dell’India, essendo storicamente contraria a che singole potenze – ci riferiamo principalmente alla Cina – conquistino una posizione d’incontrastata egemonia nella regione. È da iscrivere in questo quadro il sostegno accordato dal governo thailandese al tentativo indiano – recentemente rafforzato – di ritagliarsi nel Myanmar un’area d’influenza potenzialmente competitiva per Pechino.

Dato fondamentale per comprendere i movimenti indiani in questo senso è l’impegno del paese nella creazione di nuovi raggruppamenti regionali, tra cui il peso maggiore va probabilmente riconosciuto alla BIMSTEC (Bay of Bengal Initiative for Multi-Sectoral Technical and Economic Cooperation – Iniziativa del Golfo del Bengala per la cooperazione tecnica ed economica multisettoriale). La BIMSTEC è un organismo internazionale, costituito nel luglio 2004, di cui sono membri Bangladesh, Myanmar, Sri Lanka, Bhutan, Nepal, India e Thailandia. All’interno dell’organismo gli ultimi due paesi menzionati ricoprono indubbiamente un ruolo trainante di primaria importanza. La BIMSTEC mira a combinare la politica “Look West” della Thailandia con la “Look East” dell’India, e potrebbe rappresentare per Nuova Delhi uno strumento fondamentale di cooperazione e sicurezza regionale.

Rispetto alle relazioni del governo indiano con il vicino thailandese, si è registrato a partire dal 2011 un incremento significativo di contatti ed il reale consolidamento dei rapporti bilaterali pre-esistenti. L’India e la Thailandia hanno cooperato in relazione a piattaforme molto differenti, privilegiando interazioni che vedessero coinvolte le principali organizzazioni multilaterali dell’area: ASEAN, Est Asia Summit e BIMSTEC. La prova più evidente della reciproca cooperazione è stata la conclusione, il 30 maggio 2013, del trattato che garantisce una base legislativa per l’estradizione legale di soggetti ricercati e coinvolti in attività terroristiche, crimini internazionali e reati di natura economica e patrimoniale. Il trattato è stato esplicitamente accolto come il segnale della ferma volontà dei due paesi di estendere e rafforzare le proprie agenzie, creando una base legislativa su cui esercitare la collaborazione bilaterale. Altro segnale di rilievo è la firma di un ulteriore trattato tra l’unità indiana d’intelligence finanziaria e l’analoga organizzazione thailandese. L’accordo permetterà lo scambio d’informazioni strategiche riguardanti il riciclaggio di denaro e il finanziamento ad attività terroristiche.

I legami che i due paesi hanno progressivamente stretto tra loro sembrano iscriversi in un quadro ben delineato, che passa attraverso i recenti mutamenti politici dei paesi vicini e gli interessi di entrambi i governi nella costruzione d’infrastrutture che facilitino i commerci e salvaguardino il perdurare delle condizioni di sicurezza nell’area. Il punto focale delle future relazioni tra Bangkok e Nuova Delhi riguarderà probabilmente gli accordi per realizzare nuovi corridoi di transito lungo la linea che collega India e Thailandia attraverso il Myanmar.

Agli accordi già citati va aggiunto l’interesse espresso da entrambi i governi nel perseguire una più stretta collaborazione delle industrie strategiche e di difesa negli ambiti di rispettivo interesse. L’apertura indiana su una possibile cooperazione in questo settore è stata espressa dal ministro della difesa A.K. Antony nel corso della sua recente visita in Thailandia. Durante l’incontro sono state analizzate le condizioni di sicurezza dell’area e gli attuali punti critici, nonché ribadita la necessità d’implementare ogni forma di collaborazione che possa garantire stabilità, sicurezza regionale e libertà delle navigazioni. L’impegno indiano in questo senso, ossia quello di ridisegnare una stabile e influente presenza regionale, ha inoltre spinto il governo di Nuova Delhi ad avviare più strette relazioni anche con l’Australia. Gli accordi di cooperazione tra India e Thailandia avranno probabilmente ripercussioni tanto in chiave internazionale quanto rispetto agli sviluppi dei diversi equilibri regionali.

Come già accennato, una spinta a stringere le relazioni con il vicino indiano è venuta, per la Thailandia, anche dalla necessità di trovare una soluzione ai conflitti che da anni investono il sud del paese. Il problema della guerriglia separatista islamica è una ferita aperta nella storia thailandese, nonostante i reiterati tentativi ad opera della stampa e degli ambienti governativi di minimizzare il problema. L’azione dei gruppi separatisti musulmani, in uno Stato a maggioranza buddista come la Thailandia, si concentra principalmente nella parte meridionale del paese, cioè nelle quattro province di Songkhla, Pattani, Yala e Narathiwat, al confine con la Malesia. Qui la popolazione di etnia malese non ha mai accettato pienamente la sovranità del governo thailandese e per decenni ha rivendicato una maggiore autonomia da Bangkok. Il gruppo separatista più attivo e ampiamente sostenuto dalla popolazione malese è il PULO (Pattani United Liberation Organization), fondato nel 1968 e dedito ad attività sia di propaganda politica che di guerriglia. Il governo thailandese accusa i gruppi separatisti di legami con il terrorismo internazionale e con altre organizzazioni islamiche, mentre la vicina Malesia è sospettata di finanziare e dare asilo agli insorti. Ad incoraggiare la possibilità di pace in Thailandia, nonché l’eventualità di giungere ad un accordo, c’è il compromesso raggiunto tra i gruppi separatisti islamici operanti nelle Filippine e il governo di Manila grazie alla mediazione della Malesia. Il governo thailandese ha inviato una delegazione a Kuala Lumpur per sondare la disponibilità della Malesia a impegnarsi in un secondo intervento pacificatore. Nell’ottica di garantire una positiva risoluzione del conflitto, l’accordo della Thailandia con l’India potrebbe avere una rilevanza tanto rispetto alla prevista collaborazione in materia di lotta al terrorismo di matrice islamica (problema che investe direttamente anche il governo di Nuova Delhi) quando in relazione all’accordo concluso sull’estradizione.

La strategia indiana ha poi una sua fondamentale importanza in previsione dei possibili riallineamenti futuri dell’area ed è collegata al confronto diretto ed indiretto tra Stati Uniti e Cina, nonché in relazione ad una sempre maggiore convergenza degli interessi di India e Stati Uniti nel consolidare le proprie relazioni.
Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Obama hanno rilanciato una serie di iniziative di cooperazione in Asia, in particolare nel Pacifico e con l’India. La presenza statunitense nella regione non è in realtà mai venuta meno, gli Stati Uniti sono infatti legati da un’alleanza militare con cinque paesi nell’area dell’Asia-Pacifico – Giappone, Corea del Sud, Australia, Filippine e Thailandia – ed hanno avviato un partenariato in materia di sicurezza anche con Singapore.

Il recente ritorno dell’interesse statunitense in Asia, parallelamente all’ascesa cinese, si presenta come un elemento chiave per comprendere i recenti cambiamenti di equilibrio nell’area e pongono inoltre delle sfide non secondarie agli Stati minori della regione.

Una necessità primaria, che si impone oggi a molti paesi asiatici, è quella di decidere se rinunciare o meno ad una politica estera volta a conservare buoni rapporti e mantenere una posizione equilibrata tra le due potenze, oppure schierarsi più apertamente al fianco di una delle due. Una scelta difficile e a sua volta legata all’evoluzione di almeno tre variabili: le modalità con cui Washington deciderà di consolidare la sua presenza regionale, la credibilità della politica di potenza annunciata dalla Cina di Xi Jinping, e in qualche caso il peso che assumeranno i singoli interessi nazionali nella definizione delle direttive di politica estera dei diversi paesi. Gli elementi che aiuteranno i paesi dell’area del Pacifico a valutare la credibilità dell’ascesa regionale della Cina di Xi Jinping non saranno naturalmente le sole dichiarazioni ufficiali, tra le quali riveste un peso particolare quella relativa alla trasformazione della Repubblica Popolare Cinese in una grande potenza marittima, ma anche e soprattutto l’attenzione che la nuova leadership riserverà ai problemi economici e sociali di ordine interno. Se Pechino dovesse riuscire a raggiungere i suoi obiettivi e a risolvere i numerosi problemi interni, è probabile che qualsiasi scelta di riallineamento rispetto agli Stati Uniti ne uscirebbe penalizzata e molto indebolita. Un ulteriore rafforzamento della posizione cinese potrebbe porre delle problematiche non secondarie rispetto alla sicurezza regionale, visto che ormai da decenni permangono controverse rivendicazioni territoriali sulle isole del Mar Cinese Meridionale da parte di Pechino e dei paesi minori del sud-est asiatico; in molte delle aree oggetto di contesa è accertata la presenza d’importanti fonti di approvvigionamento energetico, oggi indispensabili per sostenere il crescente sviluppo economico della regione.

La questione energetica, va necessariamente considerata ed acquisisce particolare importanza per analizzare le azioni e le prospettive dei governi asiatici. Le maggiori controversie in tal senso sono legate alla volontà di mantenere ed implementare il controllo marittimo su aree di fondamentale rilevanza strategica per gli approvvigionamenti energetici e per lo sviluppo commerciale. Le regioni sulle quali si sviluppa questa partita sono principalmente due: lo Stretto di Malacca e il Mar Cinese Meridionale.

Passa dallo Stretto di Malacca più dell’80% delle importazioni cinesi di greggio, di conseguenza un qualsiasi blocco di questo nodo strategico causerebbe gravissimi danni all’economica cinese. Per scongiurare una simile eventualità il governo cinese si è impegnato nel corso degli anni ad elaborare strategie che permettessero maggiore autonomia rispetto allo Stretto. S’inseriscono in quest’ottica sia l’investimento cinese nel porto di Gwadar, in Pakistan, che potrebbe essere collegato con un oleodotto alla provincia cinese dello Xinjang, sia i tentativi d’investire in Mynamar e in Thailandia per realizzare pipeline ed infrastrutture che permettano ai traffici commerciali e ai collegamenti energetici di seguire percorsi alternativi alle vie marittime. Rispetto alla Thailandia vanno segnalati gli sforzi cinesi per portare a compimento un canale che attraversi l’Istmo di Kra, consentendo alle navi di evitare il passaggio per Malacca. Il progetto del canale garantirebbe alla Cina impianti portuali, magazzini e altre infrastrutture in Thailandia, volte a rafforzare l’influenza cinese nella regione. Le trattative per la realizzazione dell’opera sono in ogni caso sospese dal 2006.

Rispetto allo Stretto di Malacca, l’India intende stabilire la propria influenza nei confronti della rotta che va dal Golfo Persico all’Estremo Oriente. Il ruolo è garantito anche dall’impegno messo in campo dal governo indiano per rafforzare i rapporti multilaterali con le marine militari di paesi come Myanmar, Singapore, Indonesia, Vietnam, Thailandia, Malesia e Australia. L’ulteriore approfondimento delle relazioni con la Thailandia, cui si è affiancata la volontà di proseguire verso accordi strategici e di difesa, rafforza la posizione indiana nello Stretto, permettendo all’India di controllare potenzialmente un’area di vitale importanza per l’economia e gli interessi cinesi. L’accordo tra India e Thailandia va di pari passo con le recenti relazioni di quest’ultimo paese con gli Stati Uniti. Rapporti che si prefigurano come adempimento diretto della nuova strategia statunitense in Asia annunciata da Obama, e che si focalizzano sulla necessità di contenere l’ascesa cinese.

Le questioni relative al Mar Cinese Meridionale, sono se possibile anche più complesse. In passato l’India ha affrontato più volte diplomaticamente la Cina, responsabile del blocco ai danni delle esplorazioni indiane di gas e petrolio in prossimità della costa vietnamita. I diversi scontri/confronti diplomatici che si sono susseguiti nel corso degli anni hanno creato una situazione tesa tra Cina, Vietnam, Filippine, Brunei, Malesia e Taiwan, che si contendono territori e zone marittime in queste acque. Il Mar Cinese Meridionale è la rotta più breve per le linee di navigazione fra India e Cina e le rispettive periferie (Golfo Persico, Giappone e Corea). Su questo mare sono presenti due arcipelaghi oggetto di disputa territoriale da parte di tutti gli Stati coinvolti: le isole Paracel e Spratly. Tra le nazioni in esame, il Vietnam ha un ruolo di primo piano alla luce delle sue capacità militari, economiche e demografiche che potranno renderlo, in futuro, una (media) potenza regionale nell’ambito del sud-est asiatico.

L’Indonesia non ha contenziosi territoriali diretti: esiste una sovrapposizione tra le rivendicazioni con il Vietnam, ma i due governi si sono già dichiarati disponibili a risolvere il problema in modo pacifico tramite dialoghi interministeriali ed eventualmente con l’istituzione di una commissione ad hoc. I rapporti tra i due paesi sono molto forti sia per alcune somiglianze di carattere politico ed economico, sia per la presenza di una comune percezione nei confronti della Cina. Da sempre Jakarta compete con Pechino nel sud-est asiatico e le mire espansionistiche di quest’ultima si conciliano poco con le ambizioni indonesiane. I rapporti tra Vietnam e Indonesia sembrano in fase di progressivo rafforzamento e non è da escludere che questi due paesi non si avvicinino agli Stati Uniti acquistando un’importanza anche maggiore di Thailandia e Filippine. Infine, è da segnalare che, oltre agli Stati Uniti, anche l’Australia e l’India premono per una soluzione del contenzioso tendenzialmente a svantaggio di Pechino, sostenendo implicitamente le rivendicazioni degli altri paesi appena descritti e presentandosi agli stessi come possibili alleati in funzione anti-cinese.

Da quanto detto possiamo concludere che l’avvicinamento tra India e Thailandia, inserendosi all’interno di un più complesso contesto regionale, nonché al centro del confronto (in)diretto tra Stati Uniti e Cina, appare perfettamente coerente con la strategia statunitense e sembra preannunciare una possibile evoluzione di molti rapporti dell’area. Se gli Stati Uniti dovessero riuscire a portare a compimento un’efficace strategia di contenimento del gigante cinese, e se l’India riuscisse a diventare il fulcro di tale strategia, superando parte dei problemi interni che l’hanno fino ad ora limitata, molti paesi della regione sceglierebbero probabilmente di abbandonare la politica di “mediazione” tra le due grandi potenze contendenti, e potrebbero avviare una nuova politica estera di avvicinamento agli Stati Uniti ed agli alleati di Washington nella regione; eventualità che presenterebbe non poche incognite, ma anche degli “ostacoli” per la strategia cinese nell’area.


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