Il rimpianto in espansione

Creato il 27 agosto 2014 da Nicole Leblanc @NicoleTenenbaum

Mentre corro dietro ai miei bambini al Parc de la Grange di Ginevra, mi sento chiamare. È Anne, una mia ex compagna di classe dei tempi delle medie. Anne è una ragazza coreana adottata da una famiglia italiana che a Ginevra si occupava di commercio del caffè. Ha un fratello, indiano, anche lui adottato. I genitori erano già abbastanza anziani ai tempi delle nostre abbuffate all'ora del tè; sono morti entrambi diversi anni fa, mi racconta.
Anne a dodici anni era una ragazza paffutella, complessata e introversa. Si era legata a me in modo quasi ossessivo, ma io preferivo altre compagnie e altri interessi. Ogni tanto passavamo un pomeriggio chiuse in camera mia, nel quale parlavo soprattutto io. A quei tempi la mia famiglia ed io vivevamo in Route de Chêne, proprio davanti alla scuola Internazionale. Non dovevo far altro che attraversare la strada. E anche Anne, per venire a casa mia dopo la scuola, sapeva che non doveva fare altro che attraversare la strada. Eravamo in classe insieme, ma avevamo orari diversi perché io avevo scelto di fare latino e finivo un'ora dopo. Trovavo Anne fuori dal portone del palazzo ad aspettarmi; stava un'ora là, ferma, in piedi, con la stessa pazienza e attenzione di un ragno sulla tela. Dopo la scuola avevo lezione di pianoforte, o di danza o di equitazione, lei lo sapeva. Dovevo solo passare da casa a lasciare lo zaino, ma nonostante ciò, mi aspettava, saliva in casa con me, si sedeva sul mio letto e aspettava, in silenzio, che io mi facessi i fatti miei per poi uscire di casa di nuovo insieme a me. Spazientita, la lasciavo alla fermata del 12 (il tram più gettonato di Ginevra) promettendole una merenda il giorno dopo, e lei sottolineava "mi raccomando, all'ora del tè!".
Papà ma l'ora del tè, esattamente, qual è?
Non avevamo tradizioni di merende all'ora del tè, a casa mia. A pensarci bene era proprio il concetto di merenda ad esserci tradizionalmente sconosciuto. Mio fratello all'ipotetica ora della merenda era sempre a casa di qualcuna a pomiciare studiare; io non c'ero mai, i miei genitori erano a lavoro, forse solo Rif, il nostro pastore tedesco, faceva merenda all'ora del tè.
Una volta scoperto che l'ora del tè era verso le cinque, Anne arrivò alle quattro e un quarto, quando ancora io non ero uscita da scuola. Quel pomeriggio Mutter era a casa e, stranamente, anche mio fratello. Avevo dato "ordine" di preparare una merenda vera. Anne passò due ore a mangiare e a ridere quasi contenta, a parlare della mia migliore amica (Teresa, una ragazza mezza spagnola e mezza belga, di una bellezza abbacinante) e a descrivermi un intervento chirurgico per "aprire" gli occhi a mandorla. Gli occhi di Anne erano veramente due fessure, ed io sapevo che erano la causa dei suoi problemi pre-adolescenziali, ma la trovavo una motivazione sgonfia, non turgida come la mia che credevo di essere totalmente anormale. La mia anormalità consisteva nel passare le ore, isolandomi, a pensare a cose alle quali non pensava mai nessuno, tipo fare i massaggi alle falangi di Glenn Gould o a diventare un mimo. Credevo che diventando mimo la mia strada verso la carriera di attrice mi si sarebbe aperta come un portone automatico, o come il Mar Rosso a Mosè. L'idea mi era venuta perché il mio ragazzo, che faceva il dj a tutte le feste della scuola, mi aveva detto che la mimica rivela il talento che le persone hanno dentro, e dato che ero parecchio innamorata, questa cosa mi era sembrata una cacchiata mondiale. L'avevo modificata, evoluta a modo mio, seguendo ragionamenti consecutivi personali e logici che è inutile che spieghi.
La fine delle merende con Anne, arrivò quando dopo la terza media i suoi genitori scelsero di mandarla nel settore scolastico anglofono, mentre io rimasi in quello francofono.
Anne adesso mi chiama, sono passati vent'anni. Non ho avuto neanche un attimo di esitazione, l'ho riconosciuta subito. Il suo italiano è peggiorato ed i suoi occhi sono più aperti. Forse l'avrei preferita con l'italiano migliorato e gli occhi ancora chiusi nel suo bellissimo mistero orientale. L'assenza dello sguardo, mi manca. Il doverlo immaginare, mi manca.
Mi racconta che lavora all'UNICEF, che ha due bambini. Io le spiego che mi sono, non volendo, ritrovata nello stesso ambiente scolastico internazionale dal quale ero partita. Lei si ricorda del tè e dei miei armadi a muro bianchi, sui quali attaccavo i poster dei Clash. Io le confesso che non ero normale e che sono rimasta com'ero. Lei mi risponde "Cara, si vede!".
Si vede da cosa?
Tornare a lavorare a pienissimi regimi con novità da assimilare e organizzare, non è esattamente uno choc; soprattutto quando ti svegli la mattina sotto un cielo grigio, carico di pesantissime nuvole anomale autunnali che si dissolvono quasi sempre verso l'ora della pausa pranzo, lasciando il posto ad un sole troppo pallido per essere agosto, ma che ti permette di godere a pieno della bellezza della città.
Stamattina è successa una cosa. Penso ad Anne. L'ho incontrata il giorno di ferragosto alle dieci del mattino, e già alle dieci e mezzo non ci pensavo più: mi volevo proteggere. Perché ci penso? Scrivo di Anne, qui sopra, durante la pausa pranzo. Le finestre della memoria arieggiano un presente completamente diverso e complesso. Io sono momentaneamente in cima alla stratificazione della vita, dopo questi attimi se ne aggiungeranno altri, ed altri ancora, e raggiungere il nucleo sarà ancora più difficile. Ci vorranno, forse, tante inattese Anne a chiamarmi.
Mentre scrivo il mio collega mi guarda. La sala professori è deserta, perché nella pausa pranzo tutti mangiano. Tutti tranne me, che ormai ho smesso, e il mio collega che sta seguendo una dieta secondo la quale si scofana il mondo intero a colazione, e poi se ne riparla a cena. Perché mi guarda?
- Perché mi guardi?
- Cazzo sei pallidissima
- Ah
- Ma stai bene?
- Benone!
- No, tu stai male.
- Va bene, sto male.
- Ma la pressione te la misuri mai?
- Misuratela tu!
- Andiamo, su.
- Andiamo dove?
- Infermeria, c'è l'apparecchio e te la misuro. Guarda che tu stai male...
Dopo mezzora di manovre che mi massacrano l'avambraccio, l'esperto "infermiere" sentenzia:
- Tu STAI MORENDO, non hai pressione
Comincio, in effetti, a sentirmi un po' male. Come risucchiata da uno strano vortice di allucinazioni, mi ritrovo nel giro di mezz'ora al pronto soccorso dell'ospedale. Sento il mio collega parlottare con un'infermiera:
- No no, è una mia collega...ha 70 di massima, l'ho misurata io...no no, sicuro, la so misurare...no no, lei dice di stare bene, però... no no, aspettiamo, certo...
Poi a passi giganti e concitati viene verso di me:
- Tranquilla, tra un po' ti visitano...COME STAI??
- Sto tranquilla.
- A chi telefoni?? Non ti sforzare! Vuoi qualcosa da mangiare? Vuoi un tè? Vuoi...
- Non voglio niente, stai calmo, perdio!
Dopo circa un'ora tocca a me, prima di una suora con la febbre a 39 che sinceramente sembra passarsela peggio.
Entro in un ambulatorio e vedo un camice girato di spalle che mi dice prego prego. Quando mi dicono prego prego non so mai cosa fare.
- Guardi, io sto bene, sul serio. Forse il mio amico ha sbagliato a misurare la pressione...
- Non si preoccupi, ora verifichiamo tutto, prego prego.
Il camice continua rimanere in piedi girato di spalle con dei fogli in mano, ogni tanto si gratta la testa, poi rimette le mani sui fogli. Finalmente si gira, sempre con lo sguardo puntato sui fogli.
- Si sdrai
Dove? Per terra? Mi guardo intorno.
- Prego prego
- Cosa?
- Ah scusi!
Apre una tendina tipo doccia che svela un lettino. Adesso ho capito, prego prego.
Appoggia i fogli su una sedia, ovviamente cascano tutti per terra. Il dottor Pregoprego, si accovaccia imprecando e raccogliendo i fogli mi dice:
- Gravidanze? No, eh?
- Sì, due.
- Due? Come...
- Ho due figli.
- Ah, ma no! Intendevo, non sarà mica incinta?
Il dottor Pregoprego fa una sorta di rapida anamnesi, poi finalmente mi ausculta e mi misura la pressione.
- Beh, bassina questa pressione...mmmmh, anemica?
Domanda, mentre mi guarda l'interno degli occhi.
- Non lo so, non credo.
- Sembrerebbe anemica. Facciamo analisi. Così vediamo pure se è incinta.
- Prego prego.
- Lei non è italiana italiana, vero?
- Non proprio, perché influisce sulla pressione la mia nazionalità?
- No ahahah, ma sa cosa le dico? Che le donne tipo lei è normale che abbiano un po' di pressione bassa.
- Tipo me?
- Sì; lavoro, vita stressante, viaggi, figli...
- Nazionalità...
- No, ahahah! Simpatica!
- Stavo pensando ad Anne e il mio collega mi ha visto pallida. Tutto qui. Mi spiace farle perdere tempo, fuori c'è una suora che sta malissimo. Io sto bene, mi mandi via.
- Dopo aver visto le analisi la mando via, non si preoccupi.
Le mie analisi rivelano un po' di anemia, il dottor Pregoprego mi richiama dentro l'ambulatorio. Mi fa sedere, mi dice che devo riposare, mi prescrive un integratore di ferro e magnesio.
Anne invece è gravemente malata.
Io ed i miei integratori ce ne torniamo a lavoro.
La mia finestra sul passato si richiude piano piano, lasciando serrato, qui, un presente pieno di rimpianti per i pomeriggi mancati con Anne all'ora del tè.
Ogni stella soggetta al collasso gravitazionale deve terminare in una singolarità. Rovesciando il tempo, ogni universo in espansione è cominciato con una singolarità.
Dal Big Bang ai buchi neri, Stephen Hawking

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