Il risparmio non è mai guadagno?

Creato il 17 marzo 2013 da Dida

“Il risparmio non è mai guadagno”: è un detto popolare che mi ha sempre guidato nei miei acquisti, libreschi e non. La corsa allo sconto, all’offerta e al prezzo stracciato deve sempre essere accompagnata, secondo il mio modesto parere, da un effettivo “guadagno”. Comprare cento prodotti scadenti, in sostituzione di uno più costoso, non ha senso. Low-cost, infatti, non deve essere sinonimo di bassa qualità, ma di alternativa. In queste settimane, dopo il lancio di Newton&Compton, della collana Live, nata dalle ceneri dei mitici “100 pagine 1000 lire”, di cui abbonda la mia libreria, si sono puntati i riflettori su una delle questioni spinose dell’editoria: il prezzo dei libri. Se da un lato, soprattutto i lettori e l’editore interessato, difendono la lodevole iniziativa perché non solo garantirebbe letture di qualità a basso prezzo, ma soprattutto si proporrebbe come un mezzo per conoscere e scoprire autori nei confronti dei quali un lettore medio, per prezzo o mole, si mostra sempre “timido”, dall’altro c’è chi critica aspramente questo genere di iniziativa bollando i volumi della collana come “prodotti civetta”. Nessuno nega che quella della Newton sia un’iniziativa lodevole, considerando anche il fatto che oltre ai classici Jane Austen, Seneca e Shakespeare troviamo la Némirovsky, Frediani e Fitzgerald. Nessuno nega che ai piani alti della Newton, coloro che siedono nella stanza dei bottoni, si siano fatti “due conti” prima di lanciarsi in questa iniziativa, non dimentichiamoci infatti che una casa editrice è comunque un’impresa e non un ente di beneficenza. Nessuno nega, infine, che la soddisfazione che prova un lettore nel portarsi a casa dieci volumi al prezzo di uno è immensa, ma nei volumi che vanno dai 0.99 centesimi ai 9.90 euro c’è REALMENTE guadagno?A mio modestissimo parere, visto che quasi tutti i gruppi editoriali hanno sfornato delle collane dei prezzi contenuti, sono tre i punti da prendere in esame per poter valutare questa nuova tendenza:
  • L’impaginazione: Sembra paradossale, ma nella maggior parte delle edizioni low cost, almeno quelle in mio possesso, l’impaginazione è sciatta e decisamente approssimativa. Pagine voltanti e dallo spessore discutibile, infatti, non rendono la lettura piacevole se ogni volta che si sfogliano si rischia di perderle.
  • Editing: Orrori di ortografia, frasi spezzate e parole tronche sono accompagnate da un carattere decisamente troppo piccolo. L’errore di ortografia o il refuso spezza la “magia” della lettura. Fa intravedere al lettore i contorni e i confini della pagina e non gli permette di leggere con trasporto ed emozione anche la più stupefacente delle storie. Il refuso o l’errore sono “umani”, ma perseverare è diabolico. L’avrò pagato anche pochi euro, o in alcuni casi pochi centesimi, ma quel volume è stato pagato e si suppone che, visto che è stato messo in commercio, un lavoro di editing e revisione sia stato fatto sul suddetto, o no? 
  • Traduzione: Qui si dovrebbe aprire un discorso per il quale sono stati consumati litri e litri di inchiostro. Molto spesso, infatti, per rendere “più accessibile” il prezzo di un romanzo si utilizzano traduzioni sulle quali o non ci sono diritti o se ci sono hanno una percentuale irrisoria. Una romanzo che perde di “fluidità” a causa di una pessima traduzione dovrebbe essere l’incubo di ogni lettore che, visto che non è dotato del dono delle lingue, deve “accontentarsi” della traduzione. Perché quindi rendere Tolstoj un “mattone” quando la sua scrittura vibra ed è viva? Perché continuare a pubblicare edizioni zeppe di censure, per risparmiare sui diritti, come nel caso del Conte di Montecristo? 

Il nocciolo della questione è: se si sceglie di pubblicare libri a basso costo, non si può prescindere dalla qualità. Cultura è qualità, non quantità! Perché accontentarsi di un’edizione mediocre pur di risparmiare? Ma soprattutto, e quest’ultimo è un punto al quale tengo moltissimo, quando compriamo un’edizione low cost che tipo di “editore” stiamo finanziando? Un editore che punta alla qualità di pubblicazioni e collaboratori o un editore che “sfrutta” i suoi dipendenti, magari stagisti, pur di pubblicare a basso prezzo? Nonostante molte brutte esperienze, infatti, io ho comprato e\o ricevuto tantissime pubblicazioni low cost di altissima qualità, ma non di rado mi capita di pensare: “ma chi ha lavorato a questo libro è stato pagato? E se si quanto? Ha un contratto degno della mansione che svolge?”. Io sono la prima ad essersi lamentata del prezzo eccessivo di alcuni volumi, ma in quel caso o si trattava di autori blasonati e\o sulla cresta dell’onda che si sono venduti a prezzi esorbitanti, quindi a rigor di logica ad un prezzo minore avrebbero attirato ancora più pubblico, o di racconti brevi spacciati per romanzi venduti a prezzi irragionevoli (Baricco docet). A me non interessa avere librerie zeppe di volumi, ma di averle zeppe di PRODOTTI CULTURALI. E’ eccessivo spendere 27 euro per un volume, è vero, ma se per la traduzione, l’editing e l’impaginazione del suddetto si sono spese ore e ore di lavoro pur di raggiungere uno standard qualitativo che renderà la mia lettura indimenticabile, sono contenta di spenderlo. A mio modestissimo parere una casa editrice dovrebbe imparare a comunicare, ad aumentare il suo bacino di utenza, a “convertire” i lettori deboli. Solo così potranno uscire dalla crisi. E, infine, non dimentichiamo che un euro speso male, è sempre un euro speso.Alla prossimaDiana

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