America is back, proclama ad alta voce Obama. Gli americani, però, a quanto sembra non se ne sono ancora accorti, ma i numeri dati dagli onnipotenti istituti di statistica danno ragione al presidente. Preoccupa il dato, secondo cui, negli ultimi dieci anni i ricchi in America hanno settuplicato i loro patrimoni ed i poveri sono diventati sempre più poveri. La middle class, quella che da noi era la “media borghesia” si va sempre più restringendo. Insomma, negli Stati Uniti o si è ricchi o si è poveri, con spazi sempre più esigui per la gente “di mezzo”. Eppure è innegabile che Obama ha fatto riforme sociali incisive, ad esempio sulla sanità, oltre a dare una svolta social alla politica economica in un tentativo (probabilmente mal riuscito) di restringere la forbice sociale. Niente da fare. Negli States l'unico a comandare è sempre e comunque il buon vecchio dollaro ed i Paperoni dei patrimoni milionari. Per le riforme sociali ci sarà comunque tempo e gli americani potranno sempre sperare nella generosità del Bill Gates di turno che filantropicamente elargirà una infinitesima parte del suo patrimonio per costruire l'ospedale nella sperduta cittadina del deserto. L'augurio che possiamo fare ai nostri cugini di oltre oceano è che il tutto non si risolva nell'ennesimo inghippo statistico, secondo cui – come diceva Bukowski – un tizio con la testa nel forno ed i piedi nel congelatore anziché urlare di dolore statisticamente sta bene. Ma se l'America eppur si muove, l'Europa e l'Italia sono ancora impantanate nelle paludose melme di una crisi che non se ne vuole andare. Ancora non si è capito che l'Europa in sé non esiste. Ci sono una trentina di Stati che vivono ognuno per i fatti suoi, in cui ognuno decide le tasse che deve applicare ai cittadini, quanto deve costare la produzione di un tavolino, in cui i tenori di vita sono indici disorganizzati del disagio sociale. Senza un'armonizzazione fiscale seria, senza – cioè – regole del gioco uguali per tutti in questo carnevale politico che è l'Europa non c'è alcuna buona base di partenza per l'unione europea. Ed in questo il tanto vituperato piccolo “euro” non c'entra per nulla. Infatti, come ben sanno i saggi dell'economia, può esistere uno Stato senza moneta, ma non una moneta senza Stato. E nel caso dell'euro lo stato non esiste, anzi, forse ne esistono troppi. Lo sviluppo sociale dell'Europa, se proprio dobbiamo parlarne, passa per forza attraverso una riforma organica della legislazione sociale e dell'armonizzazione fiscale per dare chiarezza ed uguaglianza a tutti gli Europei. Le regole debbono essere chiare e uguali per tutti. Altrimenti non ci sarà mai un'Europa unita e, sopratutto, unica. Oggi, invece, gli Stati debbono tirare la carretta, guardandosi in cagnesco e cercando di primeggiare inutilmente. In Italia siamo sempre legati alla vecchia concezione gattopardesca, secondo cui quando c'è una crisi bisogna fare una “riforma”: basta che cambi qualcosa per non cambiare nulla. Un politico nostro contemporaneo diceva amaramente che in Italia ogni riforma si conclude con l'aumento delle tasse. I fatti sembrano dargli ragione. Gli italiani hanno paura del fisco. Di investire. Di consumare. E questa fobia è purtroppo figlia di una realtà di disorientamento fiscale e di ritorsione statale. Il popolo italiano è il più tartassato d'Europa dal punti di vista fiscale ed il paradosso si raggiunge con quel commerciante che, in un'intervista, si dichiara costretto a vendere “in nero” per avere i soldi per pagare le tasse. Continuiamo così ed andremo a sbattere sul serio.
By Michele