Il ritorno di margite 1
Creato il 30 dicembre 2013 da Marvigar4
Marco Vignolo Gargini
IL RITORNO DI MARGITE
RACCONTO
“Giunse a Colofone un vecchio e divino cantore,
servitore delle Muse e del lungisaettante Apollo,
tenendo nelle mani la lira dal dolce suono.
Sapeva molte cose, ma le sapeva tutte male.
Né zappatore, né aratore gli dèi lo fecero,
né in altra cosa sapiente; ma in ogni arte falliva.”
Margite, Pseudo-Omero o Pigrete di Alicarnasso
I
«Professoreeeee!»
«Cosa c’è?»
«Venga subito qua!»
«Che hai da urlare? È la terza volta che mi chiami senza motivo. Prima hai scambiato un sassolino per una scheggia di un pugnale, poi un pezzo di latta arrugginito per chissà quale reperto, e alla fine un filo della mia giacca a vento per… Lasciamo perdere…»
«Ho trovato qualcosa…»
«Tu trovi sempre qualcosa, Agostino.»
«Le giuro che ne vale la pena!»
«E va bene, vediamo un po’ di che si tratta.»
Il Professor Alirio Venosti guidava una spedizione archeologica sulla frontiera italo-austriaca, nel massiccio alpino dell’Ötztal, a 3213 metri di altitudine, nello stesso identico punto dove, il 19 settembre 1991, venne scoperto il famoso Uomo di Similaun, il primo uomo dell’inizio dell’Età del Rame, vissuto circa 5300 anni fa, ritrovato in eccellente stato di conservazione. Il ghiaccio delle Alpi aveva mantenuto molto bene il corpo dell’Uomo di Similaun, invece i vestiti che lo ricoprivano si erano rovinati irrimediabilmente. L’equipaggiamento, che non era stato danneggiato dal tempo assieme alla mummia, comprendeva un arco e delle frecce in legno, un punteruolo, un’ascia in rame, uno zaino, un acciarino, un pugnale in selce e delle esche.
Il Professor Venosti sperava di imbattersi in un uomo del lontano passato, intatto come e più dell’Uomo di Similaun, ma finora le sue aspettative erano andate completamente deluse. In tre occasioni il suo assistente, Agostino Vanatis, lo aveva illuso e adesso, chiamato di nuovo a vedere “qualcosa”, accorreva rassegnato verso l’ennesimo fiasco. In quei pochi metri che lo separavano da Agostino il Professor Venosti pensò alle parole poco simpatiche ricevute da parte del mondo accademico che contava, alle risate dei direttori dei vari musei di Archeologia e Antropologia rivolte a lui, il “matto”, lo scienziato sognatore convinto di passare alla Storia con una scoperta senza precedenti. Nessuno gli credeva e, soprattutto, nessuno gli dava un euro per le sue ricerche. Ci fu un altro “matto” pronto a gettarsi in questa spedizione, disposto a sborsare qualche soldo: un anziano industriale, proprietario di una delle più note fabbriche di caramelle che, come unica condizione, aveva preteso di restare nell’anonimato… Evidentemente anche l’industriale non era convinto al cento per cento della riuscita di questa avventura, e mettiamoci pure il fatto che, di fronte al probabile fallimento dell’impresa del Professor Venosti, l’anonimato lo avrebbe salvato da spiacevoli conseguenze, una tra tutte la perdita di prestigio personale in campo economico e relativo tracollo finanziario. A ricoprirsi di ridicolo sarebbe stato il “matto” con nome e cognome, il Professor Alirio Venosti. In fondo era già abbastanza screditato. Un disastro in più avrebbe soltanto confermato la sua cattiva fama.
«Se mi hai fatto venire per niente… giuro che ti strozzo!»
«Professore, mi sa che qui sotto si nasconde una bella sorpresa. Guardi, guardi qui! Non vede una figura scura?»
«A malapena. Potrebbe essere un tronco d’albero, una coperta abbandonata di una vecchia spedizione, o, che ne so, un pianoforte…»
«Ma che pianoforte! Professore, svelto, mi dia una mano a liberare questo coso dal ghiaccio. Non stia lì impalato.»
«Usa meglio lo scalpello, Agostino, non devi mica sbrinare il congelatore del frigorifero…»
«Io toglierei la lastra… »
«Grazie tante! Secondo te cosa bisogna fare?»
«Ma professore, da solo non ce la faccio. E poi, con questi strumenti… come si può lavorare?»
«Caro mio, questo passa il convento!»
«Già, sembra proprio che il nostro sponsor desideri tanto farci fare una figuretta…»
«Ci dobbiamo accontentare di quello che c’ha dato il commenda, che è sempre meglio di nulla…»
«Professore, ho bisogno di lei. Ma me la vuol dare una mano, si o no?»
«Non ti arrabbiare. Non capisco proprio il tuo entusiasmo. Buon per te, almeno tu proverai una delusione, che è già qualcosa. Io non proverò nulla. Però, abbi pazienza, se vai così a casaccio non riuscirai a tirar fuori il blocco. Bisogna individuare il punto debole e concentrarci lì. Proviamo con questo martelletto a percuotere la superficie centimetro dopo centimetro e se sentiamo un rumore sordo allora cominciamo a lavorare in quella zona.»
Il Professor Venosti e Agostino, in ginocchio sulla lastra di ghiaccio molto spessa e molto grande, si davano il cambio con il martelletto e poi, a seconda del rumore che sentivano, entravano in azione con le piccozze, i magli, i seghetti. Ogni tanto prendevano fiato e poi ricominciavano a lavorare.
Mezz’ora dopo la lastra non dava segni di cedimento e nemmeno si era spostata. Doveva essere davvero massiccia.
Agostino, in preda alla disperazione, ce l’aveva con il Professore che, nonostante gli sforzi, se ne stava sempre tranquillo senza andare mai in crisi.
Passò un’altra mezz’ora e l’opera dei due non aveva prodotto granché.
Agostino si mise a frignare come un bimbo che fa le bizze, balzò sulla lastra e batté i piedi all’impazzata. Urlava frasi senza senso. Sembrava uscito di senno.
«Nooo, Agostino, stai calmo! Ti fai male! Oddio, è partito di testa…»
CRAAAC!
Il ghiaccio finalmente s’era crepato. Il Professore fece in tempo ad acchiappare il suo assistente prima che finisse dentro la spaccatura. Una presa degna del più grande portiere di calcio.
Ora entrambi erano stesi abbracciati a due passi dalla lastra infranta. Trascorsero pochi minuti in quella posizione e tornò la calma. Agostino respirava regolarmente, aveva superato la sua crisi.
«Lo sa, Professore, che sto bene con lei?»
«Di solito io non abbraccio i miei assistenti. L’ho fatto solo per salvarti dalla caduta. Non ci fare l’abitudine…»
«Sa, io ho bisogno di tanto affetto. Sono un orfano che è stato allevato da un professore di filosofia d’origine greca, che mi ha cresciuto, mi ha fatto studiare, mi ha dato anche il suo cognome… Ma lei, Professor Venosti, per me è stato come un padre, anche se ha fatto il cattivo con me, mi ha detto tante brutte parole…»
«Agostino, alziamoci adesso. Poi faremo una bella chiacchierata. Intanto andiamo a vedere cosa c’è là sotto.»
Che cos’era? Un baule? Un sarcofago? All’interno della crepa riposava una “scatolona” di legno scuro con in bella vista una chiusura metallica assai arrugginita. Dall’alto della loro posizione il Professore e Agostino si resero conto che per estrarre quella cosa enorme occorreva l’intervento di altre persone, esperte nel recupero. Bisognava chiamare al cellulare il capo, l’industriale, comunicargli l’avvenuta scoperta e sollecitare dei rinforzi.
«Commendatore, io non l’avrei disturbata inutilmente… Mi dispiace d’aver interrotto il suo pranzo di lavoro… La faraona? Che buona! E com’è cucinata? Uh, mi perdoni, si sta freddando… È che io ho trovato qui sul posto, ricorda?, un oggetto interessante, proprio interessante. Sembra una cassa, in legno, davvero grande… No, noi non possiamo tirarla fuori di lì, ci vogliono apparecchi, operai specializzati… Ma, commendatore, noi siamo in due, e piuttosto affaticati! Su, commendatore, ci mandi qualcuno, per favore, e stia sicuro che non se ne pentirà. Sul mio onore! Come? Il mio onore non vale nulla? Lei è ingiusto con me… La vuole vedere? Aspetti che mi porto sul luogo e gliela mostro. Ecco che mi sto avvicinando. Certo, l’immagine che le trasmetto sul suo cellulare sarà piccola, però basterà per darle un’idea sufficiente. Oh, finalmente ho raggiunto la crepa… No, no! Che ha capito commendatore? Non ho detto “crepa!”, non mi permetterei mai… Ho detto “finalmente ho raggiunto la crepa”. Sì, d’accordo, creperò io, creperò io. Intanto, guardi un po’? Le piace?»
Il volto dell’industriale, fino a questo momento decisamente torvo, sullo schermo del cellulare del Professore si trasformò, diventò pieno di ammirazione e di stupore. Un urlo di gioia.
In meno di un’ora dal cielo arrivarono cinque elicotteri, una squadra al completo per il recupero dell’oggetto.
Dopo trenta minuti di lavoro incessante la cassa di legno venne estratta. Un’autentica meraviglia! E tutta intatta! Ma per aprirla doveva essere trasportata altrove, in un ambiente chiuso. Fu sollevata da cavi d’acciaio, caricata su di un elicottero e sistemata con cura. Il Professor Venosti e Agostino ebbero il privilegio di salire sullo stesso elicottero che ospitava la cassa. Un viaggio straordinario.
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