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Il ritorno [La saga di Claire Randall #3, Outlander #2]

Creato il 29 ottobre 2014 da Lubenn @lubentw
Non so davvero cosa scrivere riguardo a Il ritorno. Il libro non mi è piaciuto, ma non mi ha fatto propriamente schifo (al contrario di Amuleto d'ambra).
Penso che il problema de Il ritorno derivi dall'essere la seconda parte di Drangonfly in amber e in quest'ottica, quest'ultimo è un libro senza capo né coda. Succedono tantissime cose, ma il libro non risulta omogeneo. Hanno fatto benissimo a dividerlo in due perché tra la prima e la seconda parte sembra davvero di leggere due libri completamente diversi.
SPOILER
L'aspetto che mi è piaciuto di più è l'idea dell'ineluttabilità del destino (seppur io non creda nell'esistenza del destino), ovvero l'idea che certi eventi debbano succedere e succederanno indipendentemente da come si cerchi di cambiare le carte in tavola. E anzi, alla fine non si sa se ciò che si è cercato di evitare sia accaduto in un certo modo proprio a causa di questa interferenza. Sappiamo storicamente che la battaglia di Culloden fu una carneficina, ma sappiamo anche che, nel romanzo, Jamie e Claire hanno complottato contro il principe Stuart facendogli perdere finanziamenti e appoggi. Se Charles avesse avuto quello che gli era stato promesso, le sorti della battaglia sarebbero state diverse? Avrebbero vinto gli scozzesi? Non lo possiamo sapere e l'autrice non è interessata a questo aspetto:  riflessioni del genere sono completamente estranee al romanzo e probabilmente una ucronia sarebbe stata più difficile da gestire e scrivere, dopotutto D. Gabaldon non è mica Philip K. Dick! Ennesima occasione persa, quindi.
In ogni caso, scrivere un romanzo storico è complicato e non basta documentarsi in biblioteca per esserne capaci. Richiede un'abilità narrativa che va al di là del semplice resoconto degli eventi perché l'opera di fantasia deve risultare credibile e deve innestarsi verosimilmente nel flusso storico. Quando penso al romanzo storico mi vengono sempre in mente I miserabili, Memorie di Adriano e Guerra e Pace. In tutti e tre i romanzi, gli autori non piegano la Storia alle loro necessità narrative, piuttosto la rendono protagonista. I loro personaggi sono uomini e donne espressione di quel determinato periodo storico (che nel caso di Hugo e Tolstoj era di poco precedente al loro), pensano e si comportano coerentemente e hanno una profondità data anche dall'epoca in cui nascono e vivono. Tutto questo non accade con Il ritorno e con i precedenti. La Storia è solo la scenografia statica del teatro in cui si muovono i personaggi, che spesso sembrano macchiette, mentre altre volte risultano anacronistici.
Tra le tante cose che non mi sono piaciute, c'è la solita ingenuità con cui viene costruita la storia. L'uso di coincidenze sfacciatamente fortunate, che portano alla risoluzione dell'evento drammatico, va bene se sei Dickens e se in generale sai come scriverlo, non va bene se quello che resta al lettore è la sensazione di aver letto una forzatura. Non è un difetto (chiamiamolo così) solo di D. Gabaldon; per esempio, ho riscontrato la stessa cosa in Ruth di Elizabeth Gaskell, che condivide con la scrittrice americana un certo gusto per il dramma spinto e la tragedia.
Sempre in tema tragedia, a un certo punto il romanzo diventa un'ecatombe di personaggi secondari, senza considerare la battaglia di Culloden in cui, storicamente, muoiono più o meno... tutti.
Tra i personaggi secondari rilevanti muoiono Colum, Rupert, Hugh Munro, Alex Randall, Il Duca di Sandringham e Dougal. Poi c'è Culloden i cui esisti nefasti ci verranno descritti nel romanzo successivo. Non ho mai apprezzato l'abuso della morte per far andare avanti le trame, l'ho sempre visto come una scarsa abilità dello scrittore nel trovare una dimensione ai suoi personaggi. È chiaro che, come nella vita, anche nei libri, la gente muore, ma far fuori praticamente 3/4 dei personaggi solo per avere il colpo di scena non credo che metta in evidenza le qualità narrative di uno scrittore.
Tra l'altro, la cosa che ho trovato davvero fastidiosa è che i personaggi superstiti subiscono lutti e tragedie, ma il dolore non viene mai approfondito. Viene sempre dato un resoconto superficiale delle conseguenze umane a questi eventi drammatici, senza mai coinvolgere pienamente il lettore, senza suscitare un minimo di struggimento o compassione. I personaggi sembrano sopportare tutto stoicamente e vanno avanti con le loro attività senza un momento di sbandamento, senza un crollo, senza coinvolgimento. Se ai personaggi per primi non interessa di chi muore, perché dovrebbe interessare a me lettore?
Ricordo come se fosse ieri la morte dell'amante di Adriano, in Memorie di Adriano, perché non credo di aver letto qualcosa di più struggente e sentito, così coinvolgente, così doloroso. La sofferenza dell'imperatore trasudava dalle parole scritte e mi colpiva con una forza a cui era difficile restare indifferenti.
Vogliamo parlare, invece, di Brianna che viene a sapere la verità sull'identità di suo padre? Una scena altamente drammatica scritta in modo completamente piatto e banale. Una reazione così finta, un cliché senza alcun impatto emotivo sul lettore. Come se non bastasse, lo shock per questa notizia non solo viene superato in un niente, ma la ragazza diventa improvvisamente attaccatissima al vero padre, pur non avendolo mai visto. Diventa improvvisamente figlia di un perfetto sconosciuto e l'amore del padre adottivo viene dimenticato in un cassetto della memoria, esattamente come sua madre aveva fatto 23 anni prima. Ma come si può parlare di personaggi ben scritti davanti a tanta superficialità? Sono sagome di cartone.
A tutto questo si aggiungono le solite trovate assurde in stile soap opera che fanno oscillare il romanzo tra momenti comicamente drammatici e momenti drammaticamente comici.
Trovo incredibile il successo planetario di questa saga: ogni volta inizio il romanzo successivo sperando di capire cosa ci vedano di bello gli altri lettori e ogni volta resto delusa.
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