My darling Oscar,
avevo intenzione di leggere la storia di Dorian Gray da tempo, per saperne qualcosa di più, oltre alla sintesi studiata a scuola. Sì, qualche stralcio in inglese l’avevo letto, ma non potevo certo avere idea di tutto lo spessore psicologico che caratterizza il tuo personaggio.
Non saprei dire se mi abbia infastidito – se non irritato – più la sua personalità o l’artefice di essa. Eppure, se ne avessi avuto modo, due chiacchiere con te le avrei fatte con piacere, per quanto probabilmente sarei tornata a casa più scombussolata, perché immagino che saresti elegantemente –ma fermamente – rimasto sulle tue posizioni. Le stesse che, personalmente, non condivido.
Avrei sottolineato molte delle tue affermazioni, se il libro non me lo avessero prestato. Per questo alcune le ho annotate. Mi sono indignata insieme a Basil Hallward, sin dalle prime pagine, quando Lord Henry ha definito il matrimonio un inganno reciproco e condivido con lui l’idea che il suo – e tuo, my darling Oscar – cinismo sia semplicemente un atteggiamento. Come posso concordare con lui – e sottolineo nuovamente, con te – sull’opinione che il valore di un’idea è assolutamente indipendente dalla sincerità dell’uomo che la espone?
Dorian accusa Basil di avergli rovinato la vita con quello straordinario ritratto che ha realizzato, but in my opinion penso che il vero movente di tutta la vicenda che lo intrappola sia proprio l’influenza così distaccata e quasi priva di sentimenti di Lord Henry.
È lui che insinua la cattiveria nel povero Dorian. Povero sì, perché si è lasciato catturare dalle lusinghe di quell’amico schietto, così sicuro di sé, non morboso, ma ammaliante. E lo riconosce Lord Henry in persona quando in risposta alla domanda di Dorian, circa la sua presunta cattiva influenza, sostiene: la buona influenza non esiste, signor Gray. Qualunque influenza è immorale (…) perché influenzare qualcuno significa dargli la propria anima. Lui e il suo elogio della Bellezza, quale meraviglia delle meraviglie, superficiale mai abbastanza quanto il Pensiero.
E Dorian, da perfetto ingenuo, si abbandona inconsciamente al desiderio più malevolo di ogni essere umano: possedere la Bellezza eterna, in cambio della propria anima. Un po’ come il Doctor Faustus di Marlowe.
Non ha perso, però, tutta l’umanità. Si innamora di un’attrice che, perdutamente, ricambia il suo amore, ma non tutte le favole con un Principe Azzurro hanno un happy ending. Decide di nascondere il ritratto, cerca di riempirsi di tutt’altro, qualsiasi interesse può andar bene per tener impegnata la testa e non sentirsi in colpa. Ma, anni dopo, non sarà in grado di sottrarsi alla follia di quel patto non scritto che qualcuno gli ha accordato. La vita, poi, chiede sempre un conto alla fine e così anche Dorian lo paga, a caro prezzo.
Attorno alla sua fragile figura, ruotano personaggi frivoli che sono, tuttavia, espressione dell’alta società inglese e di stili di vita incentrati sulla preminenza delle parvenze e su rapporti di utilità.
Le conversazioni non hanno solo il sapore della convenzionalità e del vivere dandy dell’autore di questo classico intramontabile, ma sono supportate da una struttura retorica corposa e invidiabile, per cui devo davvero farti i miei complimenti, my darling Oscar.
Adesso, però, dimmi, chi vince nella vita?
*ai lettori più attenti al lavoro di revisione editoriale, tuttavia, consiglierei un’altra versione rispetto alla presente.
Susanna Maria de Candia
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Crescere edizioni, pp. 252, 7,90 euro.