1977
Italia
Regia: Ugo Gregoretti
Soggetto: Mikhail A. Bulgakov
Sceneggiatura: Ugo Gregoretti
Sceneggiato televisivo tratto dall'immenso lavoro di Bulgakov, spesso ricordato insieme all'antecedente e notoriamente anch'esso bulgakoviano Cuore di cane di Alberto Lattuada, non originariamente per la TV.
Diversamente da Il segno del comando e dintorni, qui il taglio non è fosco, ma con una persistente ironia, che fa un eco perfetto all'opera originaria. Le interpretazioni sono caricate a dovere, sublime Gastone Moschin nella parte dell'isterico Pérsikov, non da meno il suo assistente Ivanon (Mario Brusa) e via via gli altri: Alessandro Haber interpreta il giornalista Bronskij, Santo Versace Pankràt, altri ben in ruolo, essenzialmente nomi non troppo noti, dediti principalmente alla televisione. Non lasciamoci però ingannare dall'apparenza disimpegnata, la recitazione è di ottimo stampo teatrale, con i suoi tempi cadenzati, i silenzi e la mimica facciale; è palese la ben nota maggior qualità delle produzioni RAI del tempo, poco spazio alle improvvisazioni e allo sbaraglio generale.
La sua parte dissacrante la fa anche il piacevole tema principale ad opera di Fiorenzo Carpi, ma ciò che si ricorda maggiormente oggi è il comparto scenografico. Ad occhio discretamente povero, probabilmente realizzato in poco tempo, sfrutta in maniera decisa il Chroma key, facendo scorrere, alle spalle dei personaggi, a tratti una Mosca metropolitana sfavillante di luci, in altri veri e propri inserti tratti dai film di Dziga Vertov. DZIGA VERTOV utilizzato per una fiction italiana, penso non si debba aggiungere altro. Sfondi della stessa maniera anche negli altri luoghi di ambientazione, il sovchoz "Raggio Rosso" e la zona di Steklòvsk. Nuovamente dell'avviso che anche questa scelta renda bene lo spirito smaliziato dello scrittore, si è davanti ad un teatrino sarcastico che picchia con fare "pulcinellesco" sul deretano della burocrazia di linea kafkiana e dell'arroganza. Anche le creature frutto degli esperimenti sembrano uscite fuori da un carro allegorico che porta il farfallino di Bulgakov.
Oltre che per l'animo pungente è fedele anche per via della presenza di passi presi pari pari dal libro, narrati dalla voce extradiegetica dello stesso Gregoretti.
Catastrofico e più crudo il finale, con l'immagine di Pérsikov a monito.
Una creazione valente ancora oggi, che non sfigurerebbe come mezzo per far conoscere certa letteratura ai più giovani.
Ora ci permettiamo una digressione: se una personalità come Gregoretti, legata ad una certa ideologia ha trattato quest'opera possiamo renderci conto che a comprendere certe sfaccettature in Italia non siamo in cento (forse in 101...). Bulgakov scriveva questo romanzo nel 1925, anni difficili, in cui alla Rivoluzione russa non aveva seguito un echeggiamento in altri Paesi. La NEP, il sistema economico creato da Lenin viaggiava su un filo, presenziavano individualismi umani a carattere borghese (vedi personaggio di Preobraženskij in Cuore di cane) e di lì a poco sarebbe arrivato il fautore definitivo della controrivoluzione: Stalin. Quindi, prima di strumentalizzare a raffica è bene fare un ripasso generale, condito da sfruttamento della propria materia grigia.
L'invenzione di un uomo, secondo certi dettami, può benissimo essere messa al servizio delle masse, curata da lui stesso, senza usi sconsiderati da parte di chiunque, senza eccessi di mani inesperte ed arriviste.
Il raggio rosso scoperto da Pérsikov è degenerato per via di una mancanza di ponderazione e una sete egocentrica, tutto nel mezzo di una situazione sociale di difficile domatura. Anche per quanto riguarda la scienza, vi è un messaggio vieppiù attuale.
Nota: in questo sede abbiano letto il romanzo tramite l'ottimo volume edito anni fa da Newton, e contenente anche il succitato Cuore di cane e Diavoleide. Segnaliamo che è ancora reperibilissimo entro i soliti canali di acquisto dell'usato o del remainder.
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