(Nico Garrone, giornalista critico teatrale di La Repubblica e direttore del Festival di Radicondoli, scomparso nel 2009 all'eta di 68 anni.)
L'assunzione di responsabilità del critico nel recensire e monitorare l'attività teatrale di uno spettacolo, e/o di un singolo artista, va oltre ad un semplice impegno professionale, affidatogli per “dovere d'ufficio” dalla testata giornalistica per cui lavora. Qui si vuole intendere ad un discorso più ampio che dia risalto alla spinta propulsiva dettata da una sincera e obiettiva passione nel contrastare l'impoverimento culturale nella nostra società attuale. L'attenzione va rivolta, soprattutto, a coloro abbiano intrapreso la carriera di giornalista critico, spinto dal desiderio di indagare la scena teatrale, nel tentativo di contribuire ad una dialettica riflessiva condivisa maggiormente. La pubblicazione di una recensione si limita a dare voce alle sue impressioni raccolte durante la visione di una messa in scena. Il giudizio può contenere una valutazione positiva o negativa, o in certi casi, con riserva, si tende a pareggiare con una certa sospensione di giudizio, l'esito del lavoro visto. Senza infamia e senza lode.
Il dibattito che analizza la figura del critico, del suo ruolo specifico, di come può incidere sull'esito del lavoro artistico, e non solo nell'opinione dello spettatore, è tutt'ora sospeso e si trova in una posizione marginale, rispetto alla necessità di ridefinire quali compiti svolga. Ha ancora un senso dare vita ad una critica sempre più adottata dal web e sempre meno presente sulla carta stampata?
Emerge quanto sia urgente ridefinire il vero ruolo del critico capace di coinvolgere le forze che compongono la scena del teatro, in tutte le sue accezioni. Un quesito a cui va data una risposta è quello che chiede se scrivere e recensire determina delle conseguenze culturali? Oppure è solo un'azione che legittima l'esistenza stessa del critico in funzione di uno scopo ben preciso, grazie al quale le istituzioni politiche culturali, verifichino la rassegna stampa della quantità (e raramente della qualità) di pubblicazioni a favore di un festival piuttosto che di un collettivo artistico, gruppo o compagnia, a cui segue la decisione di erogare i finanziamenti con più o meno facilità. Siamo coscienti che la qualità e la serietà impiegata nel redigere un giudizio critico, spesso scarsamente retribuito, salvo rare eccezioni, valga come presenza numerica al fine di giustificare l' evento teatrale artistico? Con lo scopo di legittimare il gesto artistico realizzato. L'interrogativo è: cosa vado a provocare con le mie parole di assenso/dissenso nel decretare un giudizio? La risposta più sensata , a mio avviso, la si ritrova nel pensiero del regista Peter Brook, il quale nel suo “Il teatro e il suo spazio”, scrive a chiare lettere chi è il critico: “Colui che rende sempre un importante servizio al teatro quando va a snidare l'incompetenza.... un vero alleato per scoprire chi attraversa il teatro irresponsabilmente.... I nostri rapporti con i critici possono apparire tesi, ma in profondità si tratta di rapporti indispensabili”.
Roberto Rinaldi