Il ruolo della donna nel mondo e nella Chiesa

Da Agueci

La sua dignità non acquisita ma ontologica

Se ci muoviamo intorno, in qualsiasi parte della creazione e del vivere umano con cui veniamo a contatto, troviamo organismi che permettono di essere raggruppati in individui appartenenti alla stessa specie in maschio e femmina. Questo ci sprona a capire il ruolo integrativo che hanno ineluttabilmente i due generi nella creazione e nello sviluppo di qualsiasi essere vivente e no. La presenza di due poli, ad esempio, nel campo elettrico è fondamentale perché si sprigioni la luce. Così come l’impollinazione, dalla parte maschile a quella femminile dell'apparato riproduttivo, (contenuto nei coni o nei fiori) della stessa pianta o di piante diverse, è indispensabile perché spunti il fiore e, poi, il frutto, utile alla commestibilità e a ulteriore riproduzione.

Ciò dimostra come anche nella specie umana, l’uomo e la donna siano imprescindibili e complementari ai fini non solo procreativi ma alla realizzazione di tutto se stessi. Spesso le società e le culture dominate da elementi maschili hanno creato un ideale di donna sacralizzante al quale lei doveva sottomettersi, pena l’esclusione. Oggi questi miti vanno scomparendo (non in tutte le società), grazie soprattutto alle grandi lotte (di emancipazione e di liberazione) che sono state compiute per il raggiungimento della parità uomo-donna e il riconoscimento di un ruolo paritetico.

È da qui che partiamo per indicare che la donna non ha nulla da invidiare all’uomo se non la diversità che li rende complementari l’uno all’altra, divenendo risorsa vicendevole.

Al momento della creazione, dopo aver creato l’uomo, ci dice il libro della Genesi, Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo. Gli farò un aiuto adatto a lui»[1]. È Dio, dunque, che crea una compagna all’uomo perché questi non sia solo sulla terra. La compagnia implica non solo vicinanza ma complicità, condivisione, affettività, amore, gioia. Ancora, Dio vede in Eva un aiuto, nella vita, per Adamo, perché assieme potessero sviluppare e far crescere il ruolo di appartenenza e d’inventiva. «Allora Dio fece scendere un sonno profondo sull’uomo che si addormentò; poi gli tolse una costola e racchiuse la carne al suo posto. Con questa costola Dio, il Signore, formò la donna e la condusse all’uomo»[2]. È interessante, al suo risveglio, quello che esclama Adamo: «È osso delle mie ossa, carne della mia carne. Si chiamerà: Donna’ perché è stata tratta dall’uomo». Continua l’autore ispirato a descriverci i loro compiti: «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla sua donna e i due saranno una sola cosa»[3]. Fiumi di parole sono state scritte in merito a questo versetto, arrogandosi ognuno un diritto d’interpretazione univoca. Questo passo merita, però, una riflessione che è quella dell’autorità della Chiesa: Dio preleva una costola dall’uomo e da essa forma la donna, non come entità a se stante e separata, ma la conduce all’uomo perché la riconosca come creatura. Tant’è che Adamo esclama: «È osso delle mie ossa, carne della mia carne». Ciò significa che Eva non è diversa da lui nella natura e nella uguaglianza con Dio, è simile a lui e, transitivamente, a Dio. Ci indica, fin dai suoi primordi, la parità della sua compagna, la sua dignità che non dipende da un suo atto di volontà ma da un disegno ontologico di Dio stesso.

Gesù ribadisce questa dignità personale della donna attraverso le parole e i gesti che Lui stesso compie verso le donne. Gesù sconvolge i criteri della donna la cui testimonianza non aveva, ai suoi tempi, valore giuridico. Egli ha scelto la Maddalena, una donna, per portare l’annunzio della risurrezione agli apostoli. C’è in Gesù «la rivendicazione radicale della dignità personale della donna, il rifiuto della doppia morale, che permette all’uomo ciò che è negato alla donna, la difesa della donna sposata di fronte all’egoismo del maschio. Soprattutto c’è la rivendicazione di un matrimonio che deve tradursi e realizzarsi come comunità di amore, con una reciproca accettazione, fedeltà e donazione, che prendono come punto di riferimento l’amore con il quale il Cristo stesso ha amato la Chiesa»[4].

San Paolo rafforza quest’uguaglianza, anche in modo più interessante, ricordandoci che ogni uomo proviene da una donna, quando dice: «Tuttavia, di fronte al Signore, la donna non esiste senza l’uomo né l’uomo senza la donna. Infatti, se è vero che la donna è stata tratta dall’uomo, è altrettanto vero che ogni uomo nasce da una donna e che entrambi vengono da Dio che ha creato tutto»[5].

Tante sono le discriminazioni della donna nella storia (ci sono, però, meravigliose persone nell’uno e nell’altro genere), fino al punto da negare le differenze tra lei e l’uomo, riducendo tutto a fattori culturali. La donna è stata per questo incapsulata, umiliata nella sua dignità, segregata in casa, elevata, al massimo, a “regina della casa”, come colei che deve fare figli e accudirli. Per i tedeschi la donna è il soggetto delle tre kappa (kinder=bambini, küche=cucina, kircke=chiesa). Nei testi di teologia morale si parlava della donna come il diavolo: «Come il fuoco è pericoloso con la paglia, la donna lo è per l’uomo». Così anche nel Direttorio ascetico[6]. La donna, quindi, come simbolo dell’amore e della passione, era vista una tentazione di peccato che bisognava evitare. Oggi, come sempre, la donna continua a essere strumentalizzata, mercificata, ridotta a oggetto, vituperata, umiliata…

Eppure non fu questo il progetto di Dio. Lei è “signora” (dal latino domina), della famiglia, della società, della creazione. A lei spettano tutti i ruoli che, grazie alla sua peculiarità e intuito di donna, può apportare in un mondo, pensato spesso come prerogativa degli uomini. «È una donna – dice Dino Segre - e perciò vede la vita come non la vediamo noi, e certe volte ci insegna a guardarla; comprende sfumature, percepisce sottigliezze che i nostri sensi non registrano; sa trovare nel vocabolario quell’aggettivo che a contatto con un sostantivo crea imprevedibili effetti. Se è vero che la donna è il complemento spirituale dell'uomo, essa vede l’altra faccia della verità». E quando questo non è realizzabile, non creda che per essere donna accorra scimmiottare gli uomini per avere un ruolo. Lei ha un compito a se stante ma non disgiunto da quello dell’uomo; ha una funzione unica che nessuno può compiere, come l’uomo ha la propria: guai se ognuno rifiutasse la propria, andrebbe contro natura e contro lo stesso progetto di Dio. Per questo Dio li ha posti uno vicino all’altra, perché s’integrino a vicenda.

La donna ha prerogative che la riconoscono tale perché “signora”: «Essere donna – afferma Oriana Fallaci - è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida, che non finisce mai». Lei deve avere un cuore che palpita per la famiglia, la società, la Chiesa, come fulcro umano da cui tutto parte e si rinnova, perché dotata di umanità, di sensibilità, di tenerezza, di nobiltà, di bellezza.

La donna è il simbolo della terra, del mare, del cielo, della sorgente, di tutto ciò che gratuitamente dona, perché ama, dà vita… ma anche riceve. Tra i fiori è stata scelta la mimosa perché rappresenta la forza e la femminilità. In ciò si avvicina a Dio, al suo amore, alla sua immensità.

L’importante è guardare verso la stessa direzione e fare un cammino che conduce alla realizzazione di sé e verso la salvezza. L’uomo e la donna si devono stimolare a vicenda, stupirsi l’uno con l’altro e l’uno dell’altro, custodirsi scambievolmente, apprezzarsi reciprocamente, spianandosi il percorso mutuamente sempre con discrezione e umiltà, soffrendo e gioendo insieme. «Che bella coppia – scrive Tertulliano, parlando del matrimonio cristiano – formano due credenti che condividono la stessa speranza, lo stesso ideale, lo stesso modo di vivere, lo stesso atteggiamento di servizio! Ambedue fratelli e servi dello stesso Signore, senza la minima divisione nella carne e nello spirito; insieme pregano, insieme s’inginocchiano e insieme fanno digiuno. S’istruiscono l’un l’altro, si esortano l’un l’altro, si sostengono a vicenda. Stanno insieme nella santa assemblea, insieme nella mensa del Signore, insieme nella prova, nella persecuzione, nella gioia. Non c’è pericolo che si nascondano qualcosa l’un l’altro e si evitino l’un l’altro, che l’uno all’altro sian di peso»[7].

Maria è d’esempio in questa compagnia silente ma puntuale nella vita di Gesù e di tutti gli uomini. Non a caso Gesù l’affida a Giovanni e a questi affida la sua madre. Lo fa nel momento in cui avviene la redenzione. Come nella creazione di Adamo ed Eva Dio affida questa all’uomo e viceversa, così Gesù lo fa con Maria e Giovanni, perché la nuova “donna” sappia stare a fianco dell’uomo e collaborare al progetto salvifico. Anche le donne vedove, non sposate, consacrate hanno un grande ruolo: sostengono il mondo con la loro donazione, con la loro preghiera, vivendo la loro femminilità con amore totale di sé e dando lode con la loro vita come cuore pulsante della Chiesa e del creato.

SALVATORE AGUECI


[1] Gn 2, 18.

[2] Ib., 2, 21-22.

[3] Ib., 2, 23-24.

[4] Dizionario dei temi della Fede, SEI. Torino1977, alla voce donna, p. 104.

[5] 1 Cor 11, 11-12.

[6] Cf. Padre Gio. Battista Scaramelli, Direttorio ascetico, Tipografia Remondini, Bassano 1843, Trattato II, c. II, p. 154.

[7] Lettera di Tertulliano alla moglie, 2, 6-9.