IL SACRIFICIO DI MERCUZIO #shakespeare #teatro #tragedia

Creato il 18 ottobre 2013 da Albertomax @albertomassazza

Gli anni che precedettero la stesura di Romeo e Giulietta furono segnati da eventi drammatici: la morte violenta, avvenuta nel maggio del 1593, del suo coetaneo e sodale Christopher Marlowe, suo punto di riferimento drammaturgico, e l’epidemia di peste che costrinse le autorità a chiudere i teatri nel biennio 1593-94. Shakespeare fece di necessità virtù e approfittò dell’ozio forzato come drammaturgo per dedicarsi alla poesia, componendo due poemi, il primo dei quali, Venere e Adone, fu il suo primo grande successo. La scomparsa di Marlowe, probabilmente, responsabilizzò il genio di Stratford, che si trovò a dover reggere da solo il peso di una rivoluzione teatrale da portare a compimento. Il primo colpo di genio con cui fece fronte a questa gravosa responsabilità fu l’introduzione di una figura che affondava le radici nel teatro classico, nelle feste popolari profane e negli spettacoli di corte: il fool, portatore di saggezza e di follia, di dabbenaggine e di scaltrezza. Questa figura assunse in Shakespeare un’importanza fondamentale, sia nella commedia che nella tragedia. In Re Lear, il Fool arriva ad essere un vero e proprio alter-ego del protagonista; anzi, tra i due si giunge addirittura ad uno scambio di ruoli. In Amleto, il Fool è un teschio, Yorick, ma la sua eredità spirituale è raccolta sapientemente da Amleto stesso, mentre quella materiale è marginalizzata nella figura del primo becchino. Insomma, o come personaggio ben delineato o come spirito permeante, il Fool è uno degli elementi più caratterizzanti del teatro shakespeariano. Il suo compito è di stemperare la tensione con le arguzie e di far emergere, attraverso una personalissima maieutica, la saggezza dalla follia, il senso dal nonsense, oltreché di fornire uno sguardo oggettivo e metateatrale sulle vicende dell’opera. La sua arma è un’affabulazione straripante, ricca di doppisensi, giochi di parole, paradossi.

Ma tornando a bomba, al Romeo e Giulietta o, meglio, al protagonista mancato della tragedia, Mercuzio. Shakespeare aveva sperimentato la figura del Fool nelle commedie precedenti, in particolare in Pene d’amore perdute e I due gentiluomini di Verona, le cui stesure furono in parte contemporanee al Romeo e Giulietta. Con Mercuzio, l’ambizioso bardo di Stratford volle tentare un’operazione che gli riuscì solo più tardi con Falstaff ed Amleto: creare un personaggio slegato dagli schemi e dotato di una personale e profonda psicologia, con l’ulteriore dote delle qualità del fool. L’esperimento riusciva bene, tanto bene, troppo bene. Il personaggio prendeva la mano al drammaturgo, giganteggiava sulla scena. Ma era la tragedia di Romeo e Giulietta, non la commedia di Mercuzio; ritardare l’uscita di scena, anche violenta, del personaggio, avrebbe destabilizzato totalmente il senso della tragedia che aveva, come tema portante, l’amore impossibile che affronta l’odio, ma lo vince solo dopo esserne stato travolto: una variazione sul tema, tanto caro a Shakespeare, della catarsi di sangue. Falstaff, nell’Enrico IV,  fu più fortunato di Mercuzio: aveva una spalla nobile, l’erede al trono, e questo consentì di portare a termine il doppio dramma su due binari: quello ufficiale del Re e quello foolish del titanico cazzone, del principe e dei loro compari. Solo con la salita al trono del redento principe scapestrato come Enrico V, Sir John divenne ingombrante e venne fatto fuori, salvo venir riesumato, a furor di regina e di popolo, in un Masque di corte e successivamente nella commedia Le allegre comari di Windsor, in un’ambientazione bucolica, senza più alcuna relazione con i processi dinastici.

Il sacrificio di Mercuzio fu doloroso e doveroso. Provate a immaginarvi che ne sarebbe stato del pathos della tragedia con l’irrefrenabile spirito libero ancora in campo con i suoi rigogliosi funambolismi verbali. I tragici equivoci che portarono alla morte dei due giovani amanti sarebbero stati ridicolizzati, perdendo ogni credibilità. La più umana delle tragedie shakespeariane sarebbe diventata una farsa, con Mercuzio a far da mattatore e gli altri personaggi trasformati in fantasmi caricaturali. Non c’era più tempo da perdere: Mercuzio doveva morire per lasciare che la tragedia si compisse.

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