di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado
Recensione di Ornella Sgroi
La nomination agli Oscar 2015 come miglior documentario è solo una conferma di ciò che già sapevamo. E cioè che “Il sale della terra” di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado è un film potente, emozionante ed evocativo. Un’esperienza visiva ed umana cui nessuno spettatore, neanche il più disattento, dovrebbe rinunciare. Come del resto conferma la longevità del film in sala, inaspettata e meritatissima, resa possibile soprattutto dal passaparola scatenatosi a partire da quando è uscito in Italia, lo scorso 23 ottobre, resistendo ancora oggi in diversi cinema della penisola. In programmazione effettiva o anche solo in rassegna, spesso su esplicita richiesta del pubblico.
Il merito è senz’altro delle meravigliose fotografie di Sebastião Salgado e del suo sguardo lirico nascosto dietro l’obiettivo. Capace di cogliere la maestosa bellezza della Natura, in tutte le sue manifestazioni, mettendola in rotta di collisione con l’orrore delle guerre e la crudeltà stupida, folle e arrogante dell’uomo. Creando un cortocircuito che Wim Wenders – e qui il merito è tutto del regista tedesco – scatena sul grande schermo, alternando poi agli scatti di rara suggestione del fotografo brasiliano immagini private filmate dal figlio Juliano Ribeiro Salgado e interviste in primo piano al protagonista del documentario, immortalate in bianco e nero da Wenders in omaggio ai chiaroscuri bicromatici caratteristici dell’opera di Salgado, come se Salgado fosse chiuso in una camera oscura dalla quale si rivolge direttamente allo spettatore mentre in trasparenza scorrono le sue fotografie. Estatiche e struggenti. Fotografie con cui «il fotografo descrive e ridisegna il mondo con luci ed ombre», proprio come afferma lo stesso Wenders nel corso del documentario, ammirato e rapito dal lavoro del maestro al punto da mettersi in disparte, presenza discreta e appena percepibile in un viaggio che attraversa il pianeta e la sua storia geopolitica scandendo il tempo con l’ordine cronologico dei reportage di Salgado come fossero ere, senza mai perdere di vista la gente che lo abita. Perché «dopo tutto, la gente è il sale della terra» così come lo è dell’intero lavoro del fotografo brasiliano. Che, anche quando ritrae sofferenza e miseria di uomini, donne e bambini resi scheletri dalla fame vera, lo fa con una poetica che restituisce loro sempre e comunque una grande dignità. Scatenando nello spettatore pulsioni commosse e addolorate. Rabbiose e incredule di fronte alle prove evidenti della ferocia umana. Emozioni che lo stesso Salgado ha vissuto in prima persona tanto da sentire il bisogno, ad un certo momento della sua vita personale e professionale, dopo la dolorosa esperienza in Ruanda, di ritornare in Brasile ad Aimorés nella tenuta di famiglia insieme alla moglie Lelia, presenza costante e fondamentale nella vita del fotografo, curatrice di tutte le sue mostre e pubblicazioni. In Brasile i coniugi Salgado iniziano così una nuova avventura ecologista per contrastare la deforestazione che aveva devastato il paesaggio circostante, oggi rinvigorito da oltre due milioni di nuovi alberi, robusti e rigogliosi. Una sfida che si intreccia con il progetto fotografico “Genesi” dedicato alla Natura e alla sua monumentalità prodigiosa. Quella stessa natura che, come racconta Wenders, ha aiutato il fotografo a non perdere fiducia nell’uomo, da sempre al centro della sua opera fotografica.
“Siamo animali molto feroci, siamo animali terribili, noi umani. La nostra è una storia di guerre, è una storia senza fine, una storia folle” dice Sebastião Salgado durante l’intervista. Ed è di questa follia e ferocia che Salgado è stato testimone oculare, documentandola con la sua macchina fotografica. Di questo orrore Wim Wenders non sottrae nulla neanche allo spettatore del suo documentario, che diventa così anche una guida preziosa per leggere la brutalità insana di cui anche noi ancora oggi siamo testimoni, impotenti ma soprattutto inerti. Una consapevolezza che fa esplodere con ancora più forza, se possibile, il respiro miracoloso di cui si veste la produzione artistica di Salgado, il cui volto resta impresso nella retina alla fine del viaggio. Specchio di un uomo del suo tempo, carismatico e di grande umanità.
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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri