Raccontare l’affresco del mondo con la luce
Prendi la vita di un uomo e frammentala. La sua immaginazione, disseminata nell’obbiettivo di una Leica. La sua poetica dissolta là dove il suo sguardo si poggia. La sua genialità, intrisa nella bellezza struggente e bruciante di frame, capaci di condurci nella profondità nelle viscere della terra e di portare la nostra attenzione tra le pieghe dell’esistenza. Prendi un pittore, nel senso più etereo del termine, un osservatore che stava cercando un modo per riuscire ad esprimere correttamente il concetto di tempo. Uno che per tutta la vita ha tentato di fissare il flusso della memoria e le sfumature dell’umanità nelle sue pellicole, per trasmetterci il senso più profondo dell’essere. Quando due identità di questo calibro confluiscono, viene generato un capolavoro. Che oggi possiamo raccontare.
Salgado si prende un tempo senza tempo, fino a dieci anni, per girare, vivere, fotografare i posti del mondo in cui decide di radicare il suo sguardo e di fronte alla macchina da presa, sembra sempre sospeso tra stupore e terrore: che è ciò che, in fondo, ogni sua fotografia sembra trasmetterci come una scarica elettrica. Foto che ipnotizzano lo spettatore, che lo feriscono, che ricordano la straordinaria forza dell’opera del Creato. Dall’incontro quasi casuale (Wenders aveva nel suo studio due foto di Salgado che lo avevano profondamente colpito ma solo cinque anni fa ha avuto l’occasione di conoscerlo) di questi due ‘giganti’ nasce il documentario “The Salt of The Earth”. La pellicola si apre con immagini di tale potenza (un abisso nella terra con migliaia di uomini che scendono e risalgono sulle sue pareti: sono miniere d’oro brasiliane) che potrebbero tranquillamente appartenere a uno di quei capolavori del cinema muto in cui il cinema era così potente da ricostruire città, battaglie, calamità, i giardini pensili di Babilonia o le battaglie di Napoleone, semplicemente per poterle filmare. In questo caso si tratta, semplicemente, di testimoniare lo spettacolo del mondo. Ed è la maestria di Wenders a rendere l’artificio possibile.
“Quando comincia il Tempo, e dove finisce lo spazio?”; da questi versi tratti da Lied vom Kindsein di Peter Handke scritti per Il cielo sopra Berlino, sembra muoversi tutta la poetica di Wim Wenders. Attraverso la sua sensibilità consegniamo alla storia le tante, troppe, innumerevoli vicende che l’umanità avrebbe altrimenti continuato ad ignorare. “Il sale della Terra” sono gli uomini, seguiti da Saldago, da suo figlio e i suoi cari, in quarant’anni di carriera: alcuni tra i fatti più sconvolgenti della nostra contemporaneità, conflitti internazionali, carestie, migrazioni di massa. Immortalati nel bianco e nero inconfondibile, di rara potenza, emblema del fotografo brasiliano, scattati con la sua Leica o la Pentax. Solo di recente é passato al digitale, a causa delle misure di sicurezza degli aeroporti che avrebbero potuto rovinare le sue pellicole. Dopo applausi e standing ovation a Cannes, sarà in Italia il prossimo 28 agosto distribuito da Officine UBU. E merita di fare il giro del mondo. Come Salgado.
di Valeria Ventrella per Oggialcinema.net