IL SANTO, I DEMONI E I MOSTRI DI BOSCH NEL LABIRINTO “KAFKIANO” DELLE TENTAZIONI (M. Mazzucco)

Creato il 27 ottobre 2013 da Tiba84
Il santo prediletto dai demoni è Antonio. Sant’Atanasio e la Legenda Aurea narrano che, dopo aver fondato eremi e monasteri, Antonio si ritira in preghiera nel deserto. Lì i demoni lo tormentano. Lo malmenano, lo lusingano, lo abusano. Lui non cede. Le percosse che subisce sono reali. Ma i demoni (che gli offrono, come a Faust, tutto: denaro, sesso, potere) sono fantasmi della sua mente, frutto della sua immaginazione. Di più: del suo stesso desiderio. La tentazione è interiore: liberarsi, rinnegare ciò che si è creduto e creato, commettere il Male. Il santo la condivide con ogni essere umano. Bosch ha dedicato vari quadri alle Tentazioni di Antonio.

Il suo capolavoro è il trittico di Lisbona. Firmato in caratteri gotici, risale alla piena maturità, quando già le sue «fantasie prodigiose e strane» sono ricercate da principesse e sovrani. Di incerta destinazione (forse era la pala d’altare di una confraternita), fu subito imitato e copiato (se ne conoscono almeno 20 repliche). È uno dei quadri più enigmatici della storia dell’arte. Nella sua interpretazione si sono esercitate menti eccelse. Gli esiti sono stati antitetici. Opera di un moralista cristiano ortodosso, volta alla repressione del vizio; di polemica proto-protestante contro la corruzione della Chiesa; apologia della magia ermetica; manifesto eretico (dei Catari, o degli Adamiti), perfino illustrazione della farmacopea ospedaliera. È stata decifrata come un geroglifico. Ogni immagine letta come un simbolo, la fonte scovata nel folclore, nei tarocchi, nella negromanzia, nell’alchimia, nella kabbalah, nella Bibbia, nel Malleus Maleficarum.
Ogni figura, lungi dall’esser frutto di delirio, allucinazione da mandragora o dell’inconscio del pittore, tradurrebbe visivamente le atroci maledizioni del Deuteronomio, dei Profeti e dell’Apocalisse, le usanze grottesche del Carnevale, o le credenze che Bosch condivideva coi contemporanei. L’infinità di dettagli – lettere di una lingua di cui ignoriamo l’alfabeto – fanno delle Tentazioni di Lisbona un labirinto iniziatico in cui è inevitabile smarrirsi. Il messaggio appare però chiaro.
I pannelli esterni formano due sentieri che convergono. In quello di sinistra, Antonio viene rapito in cielo e poi, esanime, trascinato dai fratelli oltre il ponticello che sormonta lo stagno. In quello di destra, Antonio legge mentre una strega e una rana consumano un’orgia e la Lussuria (Lilith) fiorisce nell’utero di un salice. Un rito pagano – officiato per un idolo a forma di rana, in presenza di una sacerdotessa negra e religiosi deformi – si compie anche nel pannello centrale. Forse lo evoca il mago amputato col cappello a cilindro seduto sul proscenio. Ma al centro esatto di questo pannello (e dunque dell’opera) c’è il volto del santo, inginocchiato sul palcoscenico del teatro del mondo. Ci guarda, indicando il Crocifisso, esiliato nella cappellina del rudere. E il Redentore si incarna ai suoi occhi (e ai nostri), e lo rassicura, benedicendo lui – e noi. Il trittico di Lisbona illustra la vittoria della volontà. E però, nella Vita di Antonio, a questa segue un dialogo fra il Santo e Cristo. Dov’eri mentre il Male sconvolgeva il mondo? Gli chiede Antonio. Ero vicino a te, e ti guardavo lottare, risponde Gesù.

Così il significato del quadro trascende la tentazione e diventa una meditazione cosmica sul senso della vita di ognuno. L’universo è un incubo, il caos domina i 4 elementi: aria, acqua, terra e fuoco sono infestati dai demoni. Anche le architetture spettrali e fantasmagoriche sembrano alludere a un mondo onirico. È invece reale: nel paesaggio si riconosce la campagna olandese – fattorie, mulini, contadini, soldati. Antonio non è mai tentato, ha scelto di non partecipare, ma il Male si genera lo stesso, ovunque: può essere punito, non vinto. Antonio deve solo ignorare e resistere.
Bosch non era un innovatore né nelle forme né nei contenuti. Vissuto in una cittadina di provincia (‘s-Hertengenbosch, da cui il nome d’arte), rimase estraneo alle conquiste plastiche e spaziali dei suoi contemporanei, fedele a uno stile arcaizzante, piatto e bi-dimensionale, quasi grafico. Derivava i suoi “mostri” dalle miniature dei Bestiari medievali, dalla scultura gotica, dai repertori delle visioni dei monaci. Ma, trasponendoli in pittura, dà loro una forza inedita. Contamina con inesauribile inventiva mondo organico e inorganico, vegetale, animale, minerale, artificiale.
Le Tentazioni pullulano di cani corazzati, uccelli dal corpo a zampogna o il becco a piffero, brocche e ratti giganti divenuti cavalcature, pesci come macchine da guerra e vascelli volanti, caverne umanoidi, castrati come cariatidi, uomini dal grugno di maiale o la testa di cardo, ridotti a piedi, ventri, orecchie, sederi. Ogni materia è in balia della metamorfosi. Gli umani sono oggetti o bestie, e gli edifici e le bestie umani. Questi mostri ibridi, osceni e perversi, suscitano repulsione, spavento e riso. Ma anche attrazione e pietà.
Ne scelgo tre. Nella palude infernale, alla gogna come la strega senza mammelle nel cesto, c’è un intellettuale con gli occhiali, annidato nel ventre di un’anatranave che inalbera come vessillo lo scheletro di una razza. È prigioniero, per qualtormentato che colpa che ha commesso e che non sa, come il kafkiano Josef K. I suoi occhi intelligenti e le sue labbra invocano un perché: ma non avrà risposta. Non raggiungerà mai il foglio scritto che sventola di là delle sbarre della gabbia. Forse per Bosch era emblema di un sapere deviato. Ma la sua desolazione mi turba ancora. Dal mostro che timona l’anatra sporge uno spino: al ramo è legata una corda che traina una culla. Contiene un feto deforme: un omuncolo. Frutto mostruoso del parto alchemico, o del coito di due maschi (all’epoca, ignoranti e dotti ritenevano che essi potessero generare, e il quadro brulica di forme falliche, orifizi anali e altri indizi della diffusione della sodomia). Il nato contro natura si porta le manine alla testa, disperato. Solo un airone malefico si accorge di lui. Bosch lo abbandona alla processione dei puniti da Dio, insieme a Josef K., come un rifiuto cosmico.
E poi c’è il buffo gobbo che pattina sul ghiaccio, in direzione opposta alla salvezza. Vestito da messaggero, nel becco reca una lettera. Nell’imbuto sulla sua testa sta confitto un ramo secco di salice da cui pende una bacca rossa: lo manda il Male. Qual è l’annuncio? A chi deve consegnarlo? La scritta sulla busta l’ha cancellata il tempo. Sono state proposte letture disparate. La più persuasiva: “bosco”, il nome di Bosch nell’Europa del sud. È una firma. O piuttosto un modo per non dirsi innocente: le Tentazioni parlano anche di lui.
La migliore interpretazione delle sue opere l’ha data nel 1605 il teologo fra Sigüenza, legato alla corte di Spagna: «tutti gli altri cercano di ritrarre l’uomo come appare all’esterno, mentre lui solo ha avuto l’ardire di dipingerlo qual è dal di dentro».

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