Nel sole che brucia la pelle di un pomeriggio lento, scopro vecchie fabbriche di vino in palazzi di art nouveau volute da quell'Abel Pereira da Fonseca che in punto di morte disse saggiamente agli eredi "finché il Tago avrà acqua, a Lisbona non dovrà smettere di scorrere vino".Dove ora si possono incontrare bettole d'altri tempi con avventori che sembrano usciti da un cinema anni '60.Entro attirata dall'ombra e dalla penombra per chiedere un toast, ormai fanno toast ovunque in città, mi spiace, qui non si fanno toast, solo carne arrostita. E tanta birra.
Poi, mentre il sole mi acceca riflesso sui palazzi bianchi e gialli che non smettono di rincorrermi, mi ricordo che sapore ha un abbraccio.Ne avevo dato un altro soltanto poco prima, nel salutare due amici all'aeroporto.
E mi ricordo di Cabo Espichel, di quel pezzo di roccia estrema dove l'oceano s'infrange impietoso erodendo le rocce e l'anima della sua salsedine, un posto carico di storia e di leggende, dove sembra di essere altrove sulla Terra; dove ci si affaccia sull'acqua attraversando una piazza deserta andando incontro a qualcosa carico di aspettative, ma senza sapere che spettacolo si stia per aprire davanti.
Poi te la trovi davanti e dentro, e ovunque.
La bellezza di un abbraccio.
Di quelli che ho dato e che darò sempre, nell'ora ineluttabile del saluto.
Eremo di Nossa Senhora do Cabo
Il Faro. Photo courtesy of my friend Claudia
Abraça alguém, sabe bem.