Il Sè modulabile

Creato il 05 novembre 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno


Dal momento che prevedo che in futuro, quando il processo si sarà chiarito nel suo sviluppo, sentiremo parlare sempre più di Sé multiplo o di Sé modulare, mi sembra opportuno apportare qualche concetto chiarificatore all’edificio di questa espressione. Anzitutto, chiariamo subito che nel concetto di Sé multiplo non c’è alcun riferimento alla cosiddetta personalità multipla. Questa ultima può essere intesa come una personalità che assume molteplici identità a seconda delle circostanze. Ora, la personalità multipla non è una caratteristica dei tempi moderni. Ogni epoca, possiamo dire, ha conosciuto le sue forme di personalità multiple. Non bisogna neanche confondere, come a volte sociologicamente si fa, la personalità multipla con i diversi ruoli che ciascun individuo ogni giorno deve interpretare quando cambia interlocutore. È chiaro che un padre può comportarsi teneramente con il figlio ed essere severo con i suoi colleghi di lavoro (o viceversa), essere un sottomesso con il suo datore di lavoro e un prevaricatore nei confronti degli utenti o clienti. Le diverse interpretazioni sono espressione appunto dei ruoli che lo stesso personaggio si trova a recitare sulla scena, vale a dire nei diversi contesti in cui si trova a dover interagire. La personalità multipla di un individuo esprime invece la possibilità di far recitare a diversi personaggi lo stesso ruolo. Se cambia il personaggio sulla scena cambia anche l’interpretazione del ruolo: è come se lo stesso attore si trovasse a interpretare personaggi diversi sulla scena. Un po’ come accadeva da bambino quando si giocava da solo con se stesso: si recitava, scambiandosi i ruoli, sia il personaggio dell’indiano cattivo che dello sceriffo buono.

Il sé multiplo non è un sé costruito su delle identità multiple, come appunto lo è quando si parla della personalità multipla. Il sé multiplo bisogna concepirlo come un sé modulabile, in pratica un sé che si può comporre e scomporre di moduli diversi a seconda delle diverse circostanze a cui deve adattarsi. Il termine modulo significa “misura”, e di solito indica una unità di grandezza che viene ripetuta più volte; in senso figurato indica un modello, un canone, che può essere ripetuto in maniera da dare proporzioni definite a una costruzione. Riferito al sé, il termine assume un significato specifico, vale a dire qualcosa che possiamo aggiungere o togliere per meglio adattarlo alla situazione richiesta. In pratica, un sé modulabile è un sé costruito su parti interscambiabili che ne consentano la massima personalizzazione. Ciò che viene richiesto al sé è di essere funzionale alla situazione richiesta. I vari modelli che vanno a costruire il sé devono pertanto sempre flessibili, altrimenti una loro eventuale rigidità ne impedisce la funzionalità e di conseguenza l’adattabilità. Dal momento che la realtà in cui si opera può presentarsi in modo sempre diverso, in quanto costituisce un sistema complesso in cui possono di volta in volta emergere fattori nuovi che ne modificano l’ambiente, assumere un modello rigido di interazione può costituire un limite d’adattabilità. In altri termini, più una realtà si modifica o si trasforma continuamente, quindi maggiore è il livello di perturbazione, più spinge i suoi componenti soggettivi a trovare forme nuove di adattabilità. Per fare un esempio, se un insegnante adotta un modulo didattico standardizzato e rigido, valido dal suo punto di vista per ogni discente, che non tenga conto invece della loro varietà cognitiva e linguistica, esso è destinato al fallimento. Un insegnante di questo tipo sarebbe giudicato non idoneo ad affrontare le nuove frontiere della didattica. In pratica, continuerebbe ad adottare un modello di insegnamento ancorato a un’epoca precedente, quando appunto esisteva un unico corpo di discenti che doveva adattarsi ad un solo modello cognitivo.

Per concludere questa provvisoria riflessione, farò riferimento alla condizione di disagio che si può provare quando bisogna elaborare questo sé modulabile. Disagio alimentato dalla sensazione netta di non essere mai adeguato (o del tutto funzionale o adattabile) alla situazione che si vive. Come scrivevo prima, la possibilità che in ogni realtà (familiare, lavorativa, professionale, ecc.) emergano fattori nuovi e imprevedibili fa sì che tutti i moduli elaborati risultino essere sempre in ritardo rispetto all’evoluzione sociale. La condizione di instabilità che molte persone vivono quotidianamente le spinge ad ancorare il proprio sé a delle “visioni del mondo” in grado di offrire certezze indiscutibili. Infatti, più le persone vivono questo senso di instabilità o di equilibrio precario e più avvertono il bisogno di rinchiudersi in un «recinto securizzato», quale può essere il senso di attaccamento al proprio territorio locale, alle proprie tradizioni, ecc.


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