La presente analisi ripercorre alcune delle tematiche discusse durante la conferenza “Il Secolo Asiatico. Situazione e prospettive geopolitiche dell’Asia” tenutasi lo scorso 13 giugno 2013 nella sala consiliare del Palazzo Municipale di Fagagna (Udine). Moderata dal giornalista del “Messaggero Veneto” Domenico Pecile, ha visto come relatore principale l’autore di questo articolo. L’incontro è stato organizzato dall’assessorato alla cultura e da Raffaella Plos (responsabile biblioteca comunale) con la collaborazione dell’IsAG.
L’attuale fase di transizione che stiamo vivendo, da un sistema unipolare a guida statunitense a un modello internazionale multipolare, è caratterizzata essenzialmente dall’emergere di nuovi centri di potere economico e politico. A questo proposito, si parla spesso del gruppo dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Nello stesso tempo, però, il continente asiatico presenta numerosi altri paesi in crescita, una situazione che può comportare una differente percezione dell’Asia rispetto al recente passato. I centri di maggiore dinamicità non sono solamente Cina e India, potenze ri-emergenti dopo che per alcuni secoli sono state considerate poli periferici del sistema mondiale. Anche in Tailandia, Vietnam, Indonesia, Malesia e Filippine si stanno registrando interessanti cambiamenti socio-economici. Grazie ai positivi risultati degli ultimi decenni, l’Asia nel suo complesso sta assistendo a rapidi mutamenti, diventando sostanzialmente un continente che potrebbe assistere nei prossimi anni a un aumento della classe media al suo interno, a standard di vita maggiormente simili a quelli della popolazione europea e nordamericana e, come conseguenza, a un peso politico maggiore nel contesto globale.
Il report predisposto dall’“Asia Development Bank” (ADB) nell’agosto 2011, Asia 2050: Realizing the Asia Century, ha messo in luce con chiarezza la possibilità di questa rosea prospettiva per il continente asiatico. Nel 2050 più di 3 miliardi di asiatici potrebbero avere un tenore di vita simile a quello europeo. I prossimi anni sarebbero dunque caratterizzati da un passaggio storico epocale, visto il peso in termini economici e politici che un vasto continente come quello asiatico assumerebbe. In questo quadro è dunque necessario prima di tutto analizzare e comprendere questa prospettiva, in modo tale da adottare un’efficace politica, in Italia e a livello europeo. A questo proposito si parla comunemente del cosiddetto “Secolo Asiatico”, una fase di predominio orientale dopo l’egemonia britannica durante il XIX secolo e quella statunitense in buona parte del XX. In ogni caso, non si tratta di una condizione preordinata e certa, dal momento che l’Asia presenta una serie di sfide che dovranno essere affrontate e risolte efficacemente; inoltre, l’Asia è un continente molto vasto ed estremamente variegato e non è certamente facile prevedere un’intesa tra i diversi Stati asiatici volta alla crescita comune. Molti analisti sottolineano il fatto che il futuro sarà piuttosto caratterizzato dalla presenza di diversi poli di potere, in differenti continenti, una situazione che garantirebbe un maggior equilibrio a livello mondiale. In ogni caso, visto il crescente dinamismo degli Stati asiatici, è necessario comunque soffermarsi su questa teoria economica del “Secolo Asiatico”, ricordando i diversi aspetti critici che possono metterla in discussione.
Perché “Secolo Asiatico”?
In Asia esistono tre grandi aree geografiche (Asia Centrale, Asia Meridionale e Asia Orientale-Pacifico, incluso il sud-est asiatico); così come tre grandi livelli di sviluppo economico: il primo gruppo, ossia i paesi che hanno raggiunto un sistema socio-economico simile a quello occidentale (Giappone, Corea del Sud, Singapore, Hong Kong, Macao e Taiwan); un secondo livello che include i paesi che presentano elevati tassi di crescita e un potenziale peso politico di livello regionale e/o globale, ma che mantegono al loro interno situazioni di criticità sociale ed economica (Cina, India, Indonesia, Malesia, Tailandia, Vietnam); un terzo gruppo di Stati che hanno raggiunto un livello di crescita medio-basso e presentano condizioni di estrema povertà. L’ultimo aspetto testimonia il carattere estremamente variegato del continente asiatico, dove sono presenti paesi con un PIL (PPA) pro-capite inferiore a 3.000 dollari all’anno (Afghanistan, Bangladesh, Myanmar, Nepal).
L’Asia è certamente il continente dei paradossi. È attualmente l’area del mondo più dinamica dal punto di vista economico e in cui lo sviluppo sta avvenendo in maniera più rapida, ma anche la zona del globo dove risiede quasi la metà dell’intera popolazione più povera al mondo (ossia, secondo la Banca Mondiale, popolazione che usa in media 1.25 dollari al giorno). L’Asia è il principale centro del mondo per produzione e vendite connesse al settore manifatturiero (in particolare la Cina) e per una vasta gamma di servizi e l’informatica (soprattutto l’India), ma al tempo stesso una vastissima percentuale dei suoi abitanti è analfabeta e disoccupata. Esiste un alto tasso di anziani (in particolare in Giappone, Corea del Sud e Cina), mentre in diversi paesi asiatici si sta assistendo a un’elevata crescita della popolazione giovanile (Pakistan, Filippine e repubbliche centro-asiatiche). Il continente asiatico è il principale centro del risparmio, il più grande creditore dei paesi in via di sviluppo, ma al tempo stesso la maggior parte dei suoi Stati necessitano ingenti investimenti interni, in particolare nelle infrastrutture, nei trasporti, nel settore dell’approvigionamento energetico e nella gestione della sempre più crescente urbanizzazione. L’Asia è un continente variegato, ricco di diversità di tipo culturali, religiose, etniche e linguistiche. Non è un territorio unificato nel passato da un’unica confessione religiosa, come l’Europa, né tantomeno contraddistinto dalla presenza di idiomi che abbiano un’origine comune. Alcuni paesi sono culturalmente e politicamente vicini a Stati appartenenti ad altri continenti. Malgrado questo mosaico di differenze interne, l’Asia presenta al momento un tratto comune, ossia quello di una crescita socio-economica dai valori estremamente positivi, un fattore epocale che influenza il 60% della popolazione mondiale.
L’attuale fase di crescita, in parte rallentata dalla crisi dell’eurozona, è senza dubbio un fattore di grande rilievo storico. Secondo l’ADB, i redditi (PPA) del continente asiatico hanno raggiunto nel 2010 un valore pari a 5000 dollari. È una cifra non certo paragonabile agli standard europei o nordamericani, ma il dato importante è che questo indice è cresciuto annualmente all’incirca del 9.4%, tra 2001 e 2010. Le esportazioni sono cresciute ogni anno dell’11.4%, mentre l’afflusso netto di capitali privati ha raggiunto in media la cifra di circa 83 miliardi di dollari annui e le riserve in valuta estera ammontavano nel 2011 a 3.5 trilioni di dollari. Secondo alcune stime tra il 2005 e il 2010, 430 milioni di persone hanno abbandonato la loro condizione di povertà assoluta (sempre tenendo come valore di riferimento quello stabilito dalla Banca Mondiale). L’Asia, grazie anche a una ridistribuzione della ricchezza a livello mondiale, sta diventando una regione composta da una larga fetta di popolazione che può essere considerata appartenente alla “classe media”. A partire dal 2000, 11 paesi hanno visto aumentare il proprio PIL pro capite a una cifra maggiore del 3.5%, una situazione che ha raddoppiato i redditi in due decenni (questi paesi sono Afghanistan, Bangladesh, Cambogia, Cina, India, Indonesia, Laos, Maldive, Myanmar, Sri Lanka e Vietnam). I migliori giovani partecipanti al Programma per la valutazione internazionale dell’allievo (Program for International Student Assessment – PISA), esaminati nella lettura, nel calcolo matematico e nelle scienze, e organizzata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), provengono dall’Asia. Ai primi posti di questa graduatoria troviamo Cina, Corea del Sud, Hong Kong, Singapore e Taiwan. Giappone, Cina e Corea del Sud sono alcuni dei paesi che a livello mondiale dispongono del più alto numero di brevetti registrati presso l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale.
A livello culturale il “Secolo Asiatico” è rappresentato dal boom a livello mondiale delle diverse proposte cinematografiche asiatiche, come i film popolari indiani (il più famoso Bollywood, ma anche le industrie cinematografiche regionali come Tollywood e Kollywood), quelli coreani e di Hong Kong, così come l’animazione giapponese. Negli Stati Uniti molti “prodotti” culturali giapponesi hanno un grande mercato, senza dimenticare il crescente interesse verso lo studio delle lingue orientali, in particolar modo il cinese, e nei confronti delle pratiche religiose di origine asiatica (induismo, buddismo e jainismo).
Secondo questi dati dunque, la crescita dell’Asia potrebbe portare nel giro di pochi decenni a risultati epocali per il continente e per gli equilibri mondiali. In base a queste considerazioni, se gli Stati asiatici continueranno a crescere seguendo questi ritmi, la Cina sarà la prima potenza economica a livello globale, mentre il PIL complessivo dell’Asia nel 2050 potrebbe contare per più della metà dell’intero PIL mondiale (51%), diventando il centro propulsore del commercio e degli investimenti; e come conseguenza diretta trasformandosi nella regione più influente dal punto di vista politico. Raddoppiando la propria quota di PIL a livello mondiale dal 27% nel 2010 al 51% nel 2050, l’Asia tornerebbe ad avere una posizione dominante a livello economico dopo più di due secoli e mezzo, ossia dopo l’epoca iniziata con la Rivoluzione Industriale.
Nello scenario più roseo del “Secolo Asiatico” il PIL dell’Asia salirà da 16 trilioni di dollari nel 2010 a 148 trilioni nel 2050. Dal punto di vista strategico ed economico, Cina, India e Giappone saranno i principali poli di potere politico che segneranno la stabilità del continente e, vista la loro potenziale ascesa, anche del globo. A questi tre paesi si aggiungerebbero Corea del Sud, Indonesia, Tailandia e Malesia. Nel 2010 queste sette economie asiatiche avevano una popolazione totale di 3.1 milardi di persone (78% dell’Asia) e un PIL complessivo pari a 14.2 trilioni di dollari (87% dell’Asia). Nel 2050, sempre secondo l’attuale trend, la loro popolazione potrebbe scendere al 73% del totale asiatico, mentre il PIL salire nel continente al 90%. Queste sette economie rappresenterebbero da sole nel 2050 il 45% del PIL globale.
Il triangolo delle relazioni Cina-Stati Uniti-India segnerà probabilmente in maniera più forte il futuro delle relazioni internazionali, al quale si potrà eventualmente aggiungere la Russia.
Le molteplici sfide poste al “Secolo Asiatico”
La previsione teorica del cosiddetto “Secolo Asiatico” non è immune dal poter essere messa in completa discussione. La condizione necessaria affinché un simile scenario possa verificarsi è che le economie dell’Asia mantengano l’attuale situazione di crescita economica per i prossimi 40 anni, adattandosi all’economia globale. Naturalmente una simile prospettiva non è certa, visti il repentino mutamento degli indici economici a livello mondiale e la grande interdipendenza tra i diversi paesi del mondo. Le crisi economiche possono essere diverse e di varia natura, così come rafforzate da una cattiva gestione a livello regionale, da conflitti, squilibri finanziari, disastri naturali, problemi demografici e dalla scarsa efficienza delle classi dirigenti locali. Affinchè l’Asia torni a ricoprire un ruolo preponderante a livello mondiale, i paesi del continente dovranno superare una serie di sfide esterne e interne, rimanendo al tempo stesso competitivi a livello regionale e globale. Si può parlare a questo proposito di cinque grandi questioni che dovranno essere considerate con attenzione, le quali, se non verranno affrontate efficacemente, potrebbero mettere in seria discussione l’ascesa dei singoli centri di potere asiatici.
1. Un primo elemento da analizzare riguarda le enormi diseguaglianze sociali che contraddistinguono diversi paesi dell’Asia. Questa problematica dovrà essere affrontata dai singoli Stati asiatici in modo tale da evitare l’esplosione di potenziali tensioni sociali che destabilizzerebbero la situazione interna. Il rischio è che le tensioni sfocino in fenomeni insurezzionali. Questo fattore concerne diversi ambiti, come ad esempio le differenze tra mondo rurale e urbano, le diseguaglianze enormi tra chi ha troppo e i poveri, tra chi ha la possibilità di avere un buon livello educativo e chi non riesce a fronteggiare una simile spesa, così come le discriminazioni etniche, religiose e di genere (per il caso indiano ad esempio si veda L’India tra riforme economiche e politiche identitarie, La questione del Telangana mette in subbuglio l’India).
2. Un secondo fattore, prettamente economico, che causerebbe un rallentamento della crescita asiatica, è quello solitamente definito dagli economisti come la “caduta” all’interno del cosidetto Middle Income Trap (MIT, “trappola del reddito medio”), ossia una situazione di stagnazione economica dopo una fase di crescita sostenuta. In questa particolare condizione l’ascesa dei redditi si blocca, vi sono basse esportazioni e scarsità d’innovazioni tecnologiche che permettano una rapida ripresa. In sostanza si tratta di una situazione nella quale non si verifica la transizione effettiva da paesi in crescita, fase iniziale guidata dalle risorse messe in campo (costi del lavoro e di capitale relativamente bassi), a paesi la cui economia è spinta da un’elevata produttività per il mercato esterno, ma anche interno. Sette economie asiatiche hanno già affrontato efficacemente nel corso della loro storia i rischi derivati dal MIT, ossia Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Macao, Singapore e Taiwan. Il superamento di questo ostacolo rappresenta la principale sfida dei paesi che a livello economico si trovano in una seconda fascia, ovvero quegli Stati che, partendo da una situazione di svantaggio, hanno avuto nel corso degli ultimi vent’anni una crescita impetuosa. Si tratta di Cina, India, Indonesia, Vietnam, Malesia, Tailandia. Pechino sembra aver superato questa fase, avviandosi verso un futuro economico di primo livello, mentre Nuova Delhi presenta ancora delle situazioni di fragilità interna, che potrebbero comprometterne la crescita nei prossimi anni. Nell’eventualità che diversi paesi asiatici cadano nella stagnazione economica del MIT, il “Secolo Asiatico” dovrà attendere ancora parecchi anni per la sua effettiva comparsa, dal momento che fallirebbe il tentativo di portare milioni di persone da una situazione di povertà a una caratterizzata da un tenore di vita da “classe media”. Il PIL totale dell’Asia potrebbe raggiungere “solamente” un valore pari a 61 trilioni di dollari nel 2050 (32% di peso a livello mondiale), anziché 148 trilioni come previsto dall’ADB, mentre il PIL pro capite sarebbe solamente di 20.300 dollari, invece che 38.600.
3. L’Asia odierna osserva inoltre un aumento del nazionalismo in diverse regioni, così come un’accresciuta competizione per il controllo delle risorse naturali (idrocarburi, minerali, acqua) e delle terre. Secondo diversi analisti nel 2030 l’Asia sarà colpita dalla scarsità non solo di acqua, ma anche di cibo. I diversi focolai di tensione e gli storici antagonismi che caratterizzano il continente potrebbero favorire una situazione di destabilizzazione che comprometterebbe la crescita degli Stati asiatici. A complicare il quadro, esistono gli interessi di potenze esterne all’Asia, come gli Stati Uniti. Washington ha recentemente predisposto la propria nuova strategia di riequilibrio nella regione dell’Asia-Pacifico e dell’Oceano Indiano, trasformatasi nel principale teatro d’azione in cui gli USA saranno chiamati ad avere un coinvolgimento maggiore rispetto agli ultimi decenni. Il governo statunitense ha come obiettivo in primo luogo il contenimento dell’influenza cinese nell’area, garantire l’apertura dei traffici commerciali marittimi nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, così come favorire la creazione di un sistema economico a proprio vantaggio; per raggiungere questi obiettivi è stato ad esempio deciso l’aumento delle truppe USA in Australia, così come il rafforzamento delle tradizionali alleanze nell’area con Giappone, Corea del Sud, Singapore e Filippine. Washington sta tentando di portare a compimento il consolidamento di nuove forme di relazioni, in particolare con Vietnam, India e Indonesia. Le regioni dell’Asia-Pacifico e dell’Oceano Indiano saranno le principali aree del globo dove si concentrà la competizione futura tra Pechino e Washington.Le zone dell’Asia che sono contraddistinte da potenziali conflittualità sono il Mar Cinese Orientale, con il confronto tra Cina e Giappone per il controllo delle isole Senkaku (denominate Diaoyu per la Cina), una regione di ridotte dimensioni, ma ricca di giacimenti di gas naturale. Il Mar Cinese Meridionale, in prossimità del fondamentale nodo strategico rappresentato dallo Stretto di Malacca e anch’esso ricco di risorse energetiche, è un altro contesto delicato; qui si fronteggiano interessi contrastanti di diversi attori regionali, come Cina, Vietnam, Malesia, Singapore, Brunei e Filippine, ma anche di attori esterni all’area, su tutti Stati Uniti e India. Esistono altre “zone calde”, rappresentate ad esempio dall’instabilità lungo il confine tra Tailandia e Cambogia, o dal decennale confronto tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir, o quello tra la stessa India e Cina per la definizione del confine. Senza dimenticare l’Afghanistan e il possibile confronto/scontro futuro tra le repubbliche centro-asiatiche per il controllo delle risorse idriche. Quest’ultimo aspetto mette in risalto un altro possibile elemento di rischio che potrebbe ostacolare l’ascesa asiatica. Un problema fondamentale dei prossimi decenni sarà infatti connesso alla competizione per il controllo e la gestione delle risorse naturali. Sempre più asiatici vedranno aumentare il proprio tenore di vita e in questo senso i diversi paesi osserveranno un aumento della domanda interna e una maggiore necessità di risorse di vario genere. Tuttavia, diverse aree dell’Asia non hanno solamente bisogno di un migliore sistema infrastrutturale per l’approvigionamento energetico o di efficaci e più veloci collegamenti tra i centri urbani, ma anche la garanzia che nei prossimi decenni i problemi legati all’accesso delle risorse idriche da parte della popolazione siano positivamente risolti.
4. I cambiamenti climatici potrebbero generare una situazione critica in diverse regioni dell’Asia. Il riscaldamento globale, le alluvioni o la scarsità d’acqua in certe aree interne comporterebbero una situazione estremamente critica, già peraltro presente in alcune zone del continente, colpendo soprattutto il settore agricolo, ancora fonte di sostentamento per una grossa fetta di popolazione asiatica.
5. Un altro punto di fondamentale importanza riguarda la capacità delle differenti classi dirigenti al potere nei rispettivi paesi nel rendere effettivamente possibile la crescita dei propri Stati, superando le diverse sfide ricordate. Attualmente esistono molti casi di cattiva gestione ammistrativa, così come frequenti casi di corruzione che mettono in forse la tenuta del sistema interno.
Una modalità efficace per fronteggiare questo tipo di sfide è quella della cooperazione tra i diversi attori asiatici, una politica capace da soddisfare gli interessi continentali. Esistono già degli organismi di tipo regionale che privilegiano la cooperazione tra i paesi membri in diversi ambiti. Quella maggiormente consolidata è l’ASEAN, (Association of South-East Asian Nations – Associazione delle Nazioni del sud-est asiatico), alla quale partecipano in forum distinti anche Cina e India. Ci sono inoltre l’East Asia Summit (EAS), la SAARC (South Asian Association for Regional Cooperation – Associazione sud-asiatica per la cooperazione regionale), l’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation – Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica), l’OCS (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) e l’Unione Eurasiatica.
Affinchè nei prossimi decenni il “Secolo Asiatico” possa effettivamente sorgere, sarà necessaria in prima istanza una strategia chiara a livello continentale, capace di affrontare le diverse sfide a livello nazionale, regionale e globale, così come garantire prima di ogni cosa la stabilità dell’Asia. Ottime premesse, affinché i cambiamenti epocali analizzati si realizzino, esistono, ma bisognerà attendere gli sviluppi economici e politici futuri per capire che tipo di scenario prevarrà nei prossimi decenni. Se effettivamente un secolo guidato dall’Oriente oppure una prospettiva nella quale verranno raggiunti solamente una parte degli ambiziosi traguardi; oppure una terza ipotesi, ossia una completa disattesa di queste rosee previsioni. In qualsiasi tipo di scenario, sarà compito dell’Italia e dell’Unione Europea non trovarsi impreparate di fronte a tutte le differenti situazioni, gran parte delle quali potrebbero comunque essere di portata epocale anche per i destini del Vecchio Continente.