Il secondo buco nero più massivo della Via Lattea

Creato il 18 gennaio 2016 da Media Inaf

Grazie ad una serie di osservazioni realizzate con il radiotelescopio di 45m Nobeyama, gli astronomi hanno rivelato dei segnali riconducibili alla presenza di un buco nero localizzato in prossimità del centro galattico la cui massa è pari a 100 mila volte quella del Sole. I ricercatori ipotizzano che questo possibile oggetto di “massa intermedia” rappresenti la chiave per comprendere la nascita dei buchi neri supermassicci che risiedono nei nuclei delle galassie. I risultati di questo studio sono pubblicati su Astrophysical Journal Letters.

Gli astronomi, guidati da Tomoharu Oka della Keio University in Giappone, hanno identificato una enigmatica nube di gas, denominata con la sigla CO-0.40-0.22, che si trova ad appena 200 anni luce dal centro della Via Lattea. Ciò che rende insolita la nube è la sua dispersione di velocità sorprendentemente elevata: in altre parole, la nube contiene delle componenti di gas caratterizzate da un ampio intervallo di velocità. I ricercatori hanno misurato questo parametro grazie a una serie di osservazioni che sono state condotte con due radiotelescopi, lo strumento di 45m di Nobeyama in Giappone e il telescopio ASTE situato in Cile, entrambi affiliati al National Astronomical Observatory of Japan (NAOJ).

(a) La figura mostra la regione del centro galattico alle frequenze radio di 115 e 346 GHz che sono associate alle righe di emissione dell’ossido di carbonio (CO). Le zone di colore bianco mostrano la condensazione del gas denso e caldo. (b) Ingrandimento della mappa d’intensità relativa alla nube CO-0.40-0.22 osservata alla frequenza di 355 GHz che corrisponde alla riga di emissione delle molecole HCN. Le ellissi indicano delle strutture ad inviluppo nel gas distribuito in prossimità della nube C0-0.40-0.22. (c) Il diagramma della dispersione di velocità ricavato lungo la linea a tratteggio della figura b. Risalta l’elevata dispersione di velocità di 100 Km/sec. Credit: Tomoharu Oka/Keio University/NAOJ

Per analizzarla più da vicino, i ricercatori hanno osservato di nuovo la nube di gas con il radiotelescopio di Nobeyama per ricavare 21 righe di emissione associate a 18 molecole. I dati mostrano che la nube ha una forma ellittica e consiste di due componenti: una più compatta e di bassa densità, caratterizzata da una dispersione di velocità molto ampia, dell’ordine di 100 Km/sec, e un’altra più densa che si estende per circa 10 anni luce e la cui dispersione di velocità risulta più contenuta. La domanda è: che cosa rende così ampia la dispersione di velocità? Non ci sono buchi neri all’interno della nube di gas e, inoltre, le osservazioni in banda X e infrarossa non hanno rivelato alcun oggetto compatto. Questi risultati implicano che la dispersione di velocità non è dovuta ad una sorta di rifornimento di energia locale, come potrebbe derivare ad esempio nel caso delle esplosioni stellari.

La figura illustra, in alto, la simulazione di due nubi di gas che si stanno avvicinando verso una forte e compatta sorgente di gravità. Il diagramma mostra la variazione della posizione e della forma delle nubi in un periodo di 900 mila anni (a partire da t=0), mostrato ad intervalli di 100 mila anni. Gli assi sono indicati in parsec (1 pc = 3,26 anni luce). In basso, il confronto tra i dati osservativi (in grigio) e la simulazione (rosso, magenta e arancione) in termini della forma e della velocità della struttura. Nella simulazione, si nota che dopo 700 mila anni le forme e la velocità delle nubi sono in buon accordo con le osservazioni. Credit: Tomoharu Oka/Keio University

Gli astronomi hanno perciò eseguito un calcolo numerico simulando delle nubi di gas soggette all’interazione da parte di una forte sorgente di gravità. Nella simulazione, le nubi di gas sono attratte inizialmente dalla sorgente e le loro velocità aumentano man mano che si avvicinano, raggiungendo il valore massimo nel punto più vicino all’oggetto. Successivamente, le nubi superano l’oggetto e quindi le loro velocità diminuiscono. Dunque, se si considera un modello in cui la sorgente di gravità è un oggetto di massa pari a 100 mila volte la massa del Sole e si trova localizzato all’interno di una regione il cui raggio è eguale a 0,3 anni luce, allora si ottiene la migliore descrizione delle osservazioni. «Se consideriamo il fatto che le osservazioni in banda X o infrarossa non ci rivelano alcun oggetto compatto, per quanto ne sappiamo finora il miglior candidato deve essere un buco nero», spiega Oka.

Se davvero questo è il caso, potrebbe trattarsi della prima identificazione di un buco nero di massa intermedia. È noto che i buchi neri si possono suddividere in due grandi categorie: gli oggetti di massa stellare, che si formano a seguito di gigantesche esplosioni di stelle molto massive, e i buchi neri supermassicci che risiedono nei nuclei delle galassie e la cui massa può assumere valori che vanno da qualche milione a qualche miliardo di masse solari. Gli astronomi hanno già identificato un certo numero di buchi neri supermassicci ma nessuno sa come essi hanno origine. Esiste, però, un’idea secondo cui i buchi neri supermassicci potrebbero formarsi dalla fusione (merger) di diversi buchi neri di massa intermedia. Tuttavia, questa ipotesi solleva un problema perchè fino ad oggi non abbiamo una chiara evidenza osservativa dell’esistenza di un oggetto di massa intermedia. Ma se la nube CO-0.40-0.22, localizzata ad appena 200 anni luce da Sagittarius A* (Sgr A*), il buco nero supermassiccio della nostra galassia la cui massa è l’equivalente di 400 milioni di Soli, contiene in definitiva un buco nero di massa intermedia allora essa potrebbe favorire lo scenario del merger di oggetti di massa intermedia per spiegare la formazione e l’evoluzione dei buchi neri supermassicci.

Questi risultati aprono una nuova finestra verso la ricerca di buchi neri sfruttando le capacità esplorative dei radiotelescopi. Ad ogni modo, alcune osservazioni recenti hanno permesso di rivelare che esiste un certo numero di nubi di gas compatte, come CO-0.40-0.22, che possiedono un ampio spettro di dispersione di velocità. Secondo gli autori, queste nubi potrebbero contenere buchi neri. Inoltre, un altro studio suggerisce che esistono circa 100 milioni di buchi neri nella Via Lattea ma le osservazioni in banda X hanno permesso di rivelarne finora solo qualche decina.

“In generale, non è immediato rivelare ‘direttamente’ la presenza di un buco nero, qualunque sia la banda dello spettro elettromagnetico”, conclude Oka. “Ma l’analisi del moto del gas mediante le osservazioni radio potrebbe fornire un modo complementare per dare la caccia a questi oggetti ‘neri’. Ritengo che l’attuale survey della Via Lattea, che viene realizzata con il radiotelescopio Nobeyama, e le osservazioni ad alta risoluzione delle galassie vicine, che vengono condotte mediante lo strumento ALMA, abbiano quel potenziale giusto per incrementare in maniera significativa il numero di candidati buchi neri”.


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Fonte: Media INAF | Scritto da Corrado Ruscica