Titolo:Il seggio vacante (originale: The Casual Vacancy)
Autore:Joanne K. Rowling
Anno:2012
Editore:Adriano Salani Editore
Traduzione:Silvia Piraccini
ISBN:978-88-6715-096-0
Pagine:553
Trama:L’inaspettata morte di Barry Fairbrother, consigliere comunale di Pagford, porta grande scompiglio nella piccola comunità inglese. Mentre parte la campagna elettorale che vede fronteggiarsi personaggi noti e meno noti, rispettabili e meno rispettabili, molti degli abitanti dovranno finalmente affrontare le conseguenze dei segreti creati e nascosti nel corso degli anni.
È inutile ignorare l’elefante nella stanza, per dirla all’inglese, quindi tanto vale parlarne subito: sì, Il seggio vacante è il primo libro pubblicato da J.K. Rowling dopo la serie dedicata a Harry Potter, il cui successo è noto a chiunque viva sul pianeta Terra. In molti hanno giudicato Il seggio vacante senza fare riferimento al libro in sé e per sé, ma limitandosi a un confronto sterile con Harry Potter; oppure, peggio ancora, hanno criticato la Rowling per il suo desiderio di scrivere ancora, nonostante il successo già ottenuto.
Non entrerò nel merito del secondo punto, perché secondo me chi pensa una cosa del genere crede, evidentemente, che gli scrittori agiscano solo spinti dalla sete di successo e denaro – e magari ce n’è qualcuno che la pensa così, ma credo siano pochissimi, una netta minoranza – e non da una forte volontà interiore di prendere in mano la penna, o accendere il pc, e mettersi a scrivere (se possibile, su questo non c’è dubbio, col desiderio di riuscire anche a pagarci le bollette).
E non entrerò nemmeno nel merito del primo, perché sebbene un confronto sia necessario, dovuto oserei dire – come d’altronde è necessario e dovuto per ogni autore e per tutto il loro corpus di opere – credo che in troppi si siano lasciati acciecare dal sentimento d’affetto, quasi di possesso, che provano nei confronti di Harry Potter, qualcosa di difficilmente uguagliabile che ha spinto molti entusiasti del maghetto a bollare questa nuova fatica come inferiore a prescindere, come “troppo diverso da HP”. Grazie al cavolo, mi verrebbe da dire.
Dunque: non entrerò nel merito di nessuno dei due punti, perché questa recensione voglio dedicarla, in toto, a Il seggio vacante; e se ogni tanto farò un confronto con degli scritti precedenti, sarà solo per questioni riguardanti lo stile, o degli elementi narrativi tipici, come farei per qualsiasi altro autore.
D’altronde, in questo JKR non si smentisce e ci presenta un libro che si appoggia quasi totalmente sulle spalle dei suoi molti personaggi, caratterizzati con la bravura che, per me, ha sempre contraddistinto questa autrice. I suoi protagonisti sono realistici, vivi e sfaccettati: nessuno è del tutto buono o cattivo a prescindere e le loro azioni provocano sentimenti contrastanti nel lettore, che può viverle sia attraverso i loro occhi, sia mediante gli effetti che queste avranno sugli altri personaggi, in un’alternanza dei punti di vista che ho trovato ben gestita, sfruttando anche la diversa voce di chi è in quel momento sotto i riflettori, pur mantenendo la narrazione in terza persona.
È impossibile giudicare in maniera univoca i componenti di questo piccolo universo nascosto nella campagna inglese, ed è questo che rende la loro presenza concreta durante la lettura; ad esempio, Samantha Mollison può sembrare una donna frivola, poco attenta alla realtà che la circonda, ai bisogni degli altri, eppure scoprirà man mano un lato di sé inaspettato, dopo aver commesso molti errori. Oppure Stuart, ragazzino che avrei volentieri preso a schiaffi ma che capivo, per come ero io al liceo, per com’è una persona a me cara che me lo ricorda, nei lati buoni come in quelli cattivi; strafottente, intelligente, in equilibrio precario, ancora poco avvezzo alla parola “conseguenze”. L’unico che ho proprio fatto fatica a sopportare è stato Gavin: in certi momenti l’ho trovato sin spregevole. Eppure, anche lui alla fin fine è solo una persona come le altre, che avanza confuso e cerca di trovare una risposta – ennesimo esempio di come “l’occhio di bue” dell’autrice, spostandosi e illuminando di volta in volta diversi personaggi, possa rendere ambivalenti i sentimenti di chi legge.
È grazie a questo gruppo di personaggi che quello che parte come un romanzo sulla politica di un piccolo paese diventa un amalgama di voci, un’orchestra composta da strumenti non sempre in armonia; e il La, quindi, non è dato unicamente dall’eponimo posto vacante, ma anche (per qualcuno soprattutto) dalla dipartita di chi quel posto lo occupava, un fantasma che aleggia spesso tra le pagine del libro.
La morte di Barry Fairbrother, infatti, darà avvio a diverse reazioni a catena che, per la maggior parte, sveleranno in molti cittadini di Pagford un senso d’oppressione fino a quel momento sopito o comunque ben nascosto; molti tenteranno di disperderlo, sconfiggerlo con gesti di rivalsa magari poco eclatanti nel disegno generale, ma fondamentali nel piccolo della loro vita. Senza contare che l’effetto valanga è sempre in agguato, e un gesto innocuo può trasformarsi nel primo tassello di qualcosa di molto diverso, in positivo come in negativo.
Purtroppo, come sempre accade, solo la morte scuote abbastanza gli animi di chi rimane, tanto da avviare un cambiamento – e questo vale dalla prima all’ultima pagina del libro.
Più la fine si avvicina, più si crea una cappa d’angoscia difficile da ignorare. Succedono molte cose terribili in questo libro: avvenimenti plausibili, ma non per questo meno inaspettati, che l’autrice non evita e che descrive quando necessario. Credo sia per questo tipo di eventi che molti lettori hanno criticato aspramente questo libro: cosa che per me non ha molto senso, perché la droga, il sesso, la violenza (inflitta a sé e agli altri) sono tutte realtà - tristemente - quotidiane e la Rowling ne parla quando necessario, senza mai sfruttare l’elemento violento e senza indulgere in dettagli truculenti. Tra l’altro, anche a Hogwarts, specie negli ultimi libri, la violenza abbondava: meno esplorata dall’autrice, meno descritta forse, ma di certo non assente.
Per concludere, è giusto spendere un paio di parole riguardo allo stile dell’autrice, che è una versione un poco più matura di quello cui ci siamo affezionati nel corso degli anni: scorrevolissimo, personale e riconoscibile, non perde l’ironia e la capacità di creare pathos, entrambi quando necessario e senza mai eccedere. Non mi aspettavo niente di meno dalla Rowling, che ha una sua voce e, con tenacia, continua ad approfondirla e a scrivere, per la gioia mia e di chi segue la sua carriera augurandosi che sia lunga e proficua.
Frasi e citazioni che mi hanno colpita…
- Krystal era passata lentamente da una classe all’altra come una capra che avanza nel corpo di un boa constrictor: visibilissima e disagevole per entrambe le parti.
- Certe volte avrebbe voluto sgridare anche gli altri ragazzi, quelli che andavano da lei a scuola. Avrebbe voluto urlare: Devi accettare il fatto che esistono anche gli altri. Tu credi che la realtà si possa negoziare, credi di potercela imporre a tuo piacimento. E invece devi accettare il fatto che noi siamo reali quanto te; devi accettare il fatto di non essere Dio.
- Allungò la mano sotto il piumone e prese quella di sua figlia. La sensazione di quel corpo caldo che lei casualmente aveva dato alla luce la fece piangere, in silenzio, ma con tanta violenza da scuotere il letto.
- Cos’è l’amore, in fondo? […] Se qualcuno riempiva in te un vuoto e quando non c’era più il vuoto si riapriva, era amore?
- Quella sera, per la prima volta, Tessa era convinta che fosse davvero una bugia, e anche che tutto quello che aveva fatto nella vita, pensando che fosse per il meglio, era stato solo cieco egoismo, che aveva causato solo confusione e disastri. Ma chi può tollerare di sapere quali stelle sono già morte? pensò, guardando il cielo notturno; c’è qualcuno al mondo che possa sopportare di sapere che lo sono tutte?