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Il seno di “Amina” e la rifrittura del pensiero femminista

Creato il 03 aprile 2013 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43

-Simone De Beauvoir e la cultura femminista
-Le  cosiddette eroine: Amina e Alia Magda
-La finta foto di  Amina
-Le  Femen al 4 aprile: Jihad in Topless
-Violenze sugli uomini? Top secret!

C’era  una volta il “femminismo” e chiaramente o meno, con la parola o con l’azione, con la ragione o con la furia dissacrante conosceva il nocciolo della questione esaustivamente espresso da Simone de Beauvoir . Diventando consapevole del paradosso illustrato nel saggio Il secondo sesso dalla filosofa francese:  l’azione autoaffermatrice della donna attende l’iniziativa del maschio, l’azione delle femministe mirava a liberarsene. Cercava di suscitare l’espressione di una indipendenza e specificità del pensiero e dell’azione femminista. Imparare a “sentire se stesse” indipendentemente da altro.

Credo che il concetto espresso della De Beauvoir  non sia neppure più comprensibile in un’epoca in cui si teorizza che i sessi sono 23, assumendo propensioni individuali come categorie generali, e in cui si ribadisce che il governo del mondo appartiene al  disincarnato e inconoscibile Nuovo Ordine Mondiale, quasi che non fossero persone in carne ed ossa ad avviare e condurre le guerre. Persone nella quasi totalità maschi o biologicamente femmine scivolate nell’automatismo maschile. Un automatismo che concepisce i conflitti “fuori”  di sé e, quindi, ne vede la soluzione solo attraverso l’esercizio della forza anziché nel sentirsi parte della questione per mettere in relazione il proprio operato con la configurazione complessiva del problema. Ci fu un cambiamento di paradigma quando la segreteria di stato Usa passò da Colin Powell a Condoleeza Rice, e poi a Hilary Clinton?

Oggi le rivendicazioni di parte femminile consistono -senza che ve ne sia cognizione- proprio in ciò che Simone De Beauvoir aveva cercato di portare alla consapevolezza. Si tratta, allora, di una regressione. Bruciare i reggiseni era mezzo secolo fa un’autonoma immaginazione delle femministe. Oggi denudarsi contro gli integralisti che vogliono la donna coperta è solamente reazione e resta circoscritta nei confini dell’attacco  di parte maschile. Fa il gioco del “nemico”, si potrebbe dire, o perlomeno perpetua, riconoscendolo potente, ciò che vuole avversare .

Un esempio abbastanza comico per la banalità  l’abbiamo avuto in questi giorni. Napolitano è stato criticato “per non aver  chiamato donne nei gruppi dei saggi”.  Cosa debbano fare questi gruppi, quali i termini e i poteri, quale la conseguenza di ritardare o accelerare la formazione di un governo sono argomenti lasciati a qualche sparuto commentatore o alle manipolazioni dei partiti.   “Poltrone anche per noi”  è ciò di cui si sono occupate le  paladine,  e i  paladini accorsi in soccorso, dei diritti delle donne rivelando quanto povere siano in generale le capacità di analisi e  la consapevolezza.

Se in Italia sguazziamo nel ridicolo, in Tunisia ci si dibatte nel tragico.  Il 4 aprile è stato dichiarato dal gruppo internazionale Femen il giorno della Topless Jihad in difesa di  ”Amina”.

Antefatto per chi non conosce la questione: la blogger tunisina Amina aveva pubblicato [ci raccontano i media] in internet una foto di sé a seno nudo, imitando le donne del gruppo ucraino  Femen che  qua e là nelle scadenze e nei luoghi importanti, davanti a Berlusconi o al Papa,  piombano  col torso nudo e decorato di slogan.
Si noti: Amina non era la battipista nel mondo arabo. Della prima ribelle,  l’egiziana Alia Magda,  avevo parlato in un  post  quando pubblicò immagini di nudo, proprie e di amici,  per sfidare i pudibondi bigotti  islamisti.
La vicenda delle due ragazze finisce male per Amina segregata in casa, drammaticamente per Alia costretta a emigrare dopo aver subito abusi fisici.

Senza togliere il merito del coraggio personale, va detto che l’azione di Alia e di Amina  non scaturisce dal femminile che si dà dignità pionieristica, ma dal ripiegarsi inconsciamente su un istinto primordiale di sudditanza, di attesa dell’azione maschile per prendere atto della propria contrarietà.

In Tunisia fino alla cosiddetta “rivolta dei gelsomini” non faceva notizia che una donna portasse il velo o andasse a capo scoperto; le femministe già esistevano, s’impegnavano nella promozione culturale e politica della componente femminile e parimenti non facevano notizia… per  le Femen. E’ bastato ora che dei gruppi integralisti minacciassero d’imporre il velo perché il mondo intero vedesse nella reazione di Amina “la” lotta per la libertà della donna. Il nemico è “integralista”? Certamente, ma passa sotto silenzio che  è uomo. L’uomo  ha preso un’iniziativa,  Amina ha solo reagito restando, e trascinando con sé le donne, nel gioco impostato dai  maschi, nonché  integralisti.

C’ è una  domanda che  nessuno si sta ponendo:

 AMINA ESISTE?

Ricordo  quell’altra: l’Amina-damascena,  bella blogger lesbica di Siria che la rete promosse a icona della “rivoluzione”, tenendo tutti  in trepida attesa di vederla ricomparire dopo il rapimento. Per fortuna, quella-Amina non esisteva. Si trattava di un  barbuto giovanotto americano ‘anti-Assad a modo suo, nascosto dietro la foto di una ignara signora inglese. 

Il caso Amina-tunisina segue lo stesso copione: anche per lei si temeva il rapimento,  con  minacce di lapidazione; per lei pure circola una foto e in pochi fanno caso che  la mora bellona, sigaretta libro e tette al vento,  che  s’affaccia da ogni articolo è in realtà una  Femen.  Pruriginoso trucco? Si sarebbe sollevato tanto clamore in rete con la foto di una scialbona capelli salepepe e  seni vizzi? [La foto che vedete in questo post è un' Amina” che mi suggerisce Google Immagini e che ho scelto perché  definisce bene  questa faccenda pseudo-femminista.]

L’uso che l’uomo fa del corpo della donna contro la sua dignità è vecchio quanto il mondo. Che dire dei maschi supporter dei diritti delle donne che gongolano scambiandosi in rete una foto che ritrae (si dice) una giovane Angela Merkel nuda? Nuovo è l’uso del corpo contro se stesse che le donne come Amina, Alia e le  tutt’altro che politicamente limpide Femen ne fanno oggi.

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In vari modi persiste il vittimismo che è frequente nelle più banali teorizzazioni del  femminismo e ciclicamente nutre reazioni controproducenti per il rispetto di sé e degli altri; e c’è altresì una volontà di persistere “vittime” lamentandosi d’esserlo. Accade allorquando si nega la capacità della donna di praticare la violenza.
Femminicidio. Nuova piaga sociale , perfino secondo  l’Onu,  per la quale s’invocano  nuove leggi.  E’ davvero così o è la rappresentazione che ce ne danno i media?

Gli uomini picchiano, ammazzano, perseguitano mentre le donne subiscono perché costituzionalmente  inermi?  Potremo capire la reale portata del fenomeno quando non lo isoleremo più dal resto dei crimini [per esempio, non esistono statistiche sulla violenza a danno delle persone anziane!] e toglieremo la sordina al crimine opposto: le violenze perpetrate dalle donne sul partner.
Silenzio, per carità, in Italia http://t.co/EXdsmqSh8n o le/i femministe/i s’indignano.
Silenzio, per carità, in Francia http://t.co/uzSOojxuWd

Le donne sono buone, sono vittime, certune tanto coraggiose da esibire i capezzoli in internet, il che  fa  tanto (pseudo)sinistra laica, visto che la delegazione SEL palermitana dichiara “solidarietà” alla Topless Jihad pro Amina.

Questa è la  vulgata.  Femen in cattedra,   Simone De Beauvoir riposi nel dimenticatorio.

 


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