La strada è gialla e arancione. Le pozze d'acqua riflettono i fari di qualche rara automobile che trascorre. Schegge di luce fatta a pezzi si staccano dal selciato sporco e vanno a finire chissà dove nella notte che ormai si è impossessata di tutto. Piove ancora, lentamente. C'è uno strato di plastica sottile fra il mondo e chi lo guarda. La pioggia, toccando terra, manda un rumore metallico. Due uomini camminano, uno accanto all'altro, il più piccolo in realtà saltella, per schivare le pozzanghere; l'altro ci finisce dentro, echissenefrega, fosse soltanto questo. L'uomo piccolo è furbo. L'altro è inquieto. L'uomo piccolo sa che il suo accompagnatore vuole qualcosa e forse – forse proprio per questo – la sta tirando per le lunghe, e chiama l'acqua “figlia di un postribolo” e la strada inondata e scivolosa “brutta bastarda”. Una vecchia insegna al neon ronza succhiando elettricità, in preda a un tremito che, avendo tempo, uno potrebbe anche provare pietà. L'uomo piccolo succhia nicotina da due dita della mano destra, prima che sia troppo tardi. Il fumo della sigaretta sale, lungo il braccio, sopra e sotto la stoffa, e da sotto la stoffa torna fuori, come se avesse preso fuoco tutto il corpo e non fosse rimasto che un osceno e inguardabile pezzo di carbone. Non ora, ti prego, dice fra sé e sé l'uomo più grande, che non pregava da tempo, senza di te non ritroverei la via per tornare in albergo. Fosse, aggiunge in silenzio, soltanto quella. La patina gialla e arancione della notte non è uniforme e perfetta: a una decina di metri dai due un fascio di luce violentemente bianca esce da una porta aperta, con tanta forza da suggerire l'ingannevole immagine di qualcuno che, dall'interno, la sta spingendo sulla strada.
La strada è gialla e arancione. Le pozze d'acqua riflettono i fari di qualche rara automobile che trascorre. Schegge di luce fatta a pezzi si staccano dal selciato sporco e vanno a finire chissà dove nella notte che ormai si è impossessata di tutto. Piove ancora, lentamente. C'è uno strato di plastica sottile fra il mondo e chi lo guarda. La pioggia, toccando terra, manda un rumore metallico. Due uomini camminano, uno accanto all'altro, il più piccolo in realtà saltella, per schivare le pozzanghere; l'altro ci finisce dentro, echissenefrega, fosse soltanto questo. L'uomo piccolo è furbo. L'altro è inquieto. L'uomo piccolo sa che il suo accompagnatore vuole qualcosa e forse – forse proprio per questo – la sta tirando per le lunghe, e chiama l'acqua “figlia di un postribolo” e la strada inondata e scivolosa “brutta bastarda”. Una vecchia insegna al neon ronza succhiando elettricità, in preda a un tremito che, avendo tempo, uno potrebbe anche provare pietà. L'uomo piccolo succhia nicotina da due dita della mano destra, prima che sia troppo tardi. Il fumo della sigaretta sale, lungo il braccio, sopra e sotto la stoffa, e da sotto la stoffa torna fuori, come se avesse preso fuoco tutto il corpo e non fosse rimasto che un osceno e inguardabile pezzo di carbone. Non ora, ti prego, dice fra sé e sé l'uomo più grande, che non pregava da tempo, senza di te non ritroverei la via per tornare in albergo. Fosse, aggiunge in silenzio, soltanto quella. La patina gialla e arancione della notte non è uniforme e perfetta: a una decina di metri dai due un fascio di luce violentemente bianca esce da una porta aperta, con tanta forza da suggerire l'ingannevole immagine di qualcuno che, dall'interno, la sta spingendo sulla strada.
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