Il senso di tarantino per il teatro: il debutto del drammaturgo in "trittico"

Creato il 28 febbraio 2011 da Valed @valentinadoati

foto.flickr

Il clown che accoglie, immobile, il pubblico nel foyer è lo stesso che presenta con una certa maniera americana l'autore di questo trittico, nonché splendido interprete debuttante a settantatré anni: Mister Antonio Tarantino.L'amabile persona che si presenta sul palco per spiegare le motivazioni di questo debutto e quello che ha imparato da questa esperienza (a stare più attento a quello che scrive perché gli attori devono poi impararlo a memoria) conquista fin dall'espressione degli occhi vivaci, dall'accento espressivo e sempre con una vena ironica, dalla parlata spontanea e genuina. La sua intelligenza e la sua lucidità nel fotografare il contemporaneo accompagnano il suo stare in scena. Lui si diverte, noi ridiamo.Ridiamo, anche se va in scena la miseria, povertà economica e relazioni drammatiche: Roma-Bacau ha come protagonisti un anziano ex-operaio e una giovane romena costretta a chiedere l'elemosina. Tra vari tentativi dell'uomo di sfruttamento ai danni della ragazza i due si ritrovano a condividere lo stesso destino di isolamento per scoprire di dipendere l'uno dall'altra come fossero marito e moglie. L'ironia che Tarantino riesce a esprimere pur nella rappresentazione della disperazione senza orizzonte di speranza è un regalo a questi nostri tempi bui, una gioiosità contagiosa che si emana dall'intelligenza del drammaturgo. Il secondo atto breve, Medea, vede in scena una donna assassina dei propri figli e vittima del tradimento del marito. Figura femminile che si riferisce chiaramente alla Medea del mito, ritrova il suo Giasone ormai vecchio e consumato, e decide di perdonare il passato di dolore: se "Dio non c'è per nessuno", i rapporti umani invece restano, sopravvivono alle macerie di una vita frantumata per continuare a essere una consolazione e una speranza. Intensa l'interpretazione di Gilda Postiglione, figura femminile lacerata ma che mantiene la forza coriacea dei sopravvissuti.Il Trittico termina con Telesogni e l'intervista condotta da un improbabile quanto realistico presentatore tv (un Oreste Valente in parte, dopo aver vestito i panni del clown) che rivela i meccanismi della manipolazione mediatica per poi darne prova concreta intervistando un anziano torinese che vive in una squallida soffitta di un palazzo invaso dagli extracomunitari. L'uomo si fa portavoce dei più ottusi pregiudizi nei confronti degli stranieri, dimostrando la sua ignoranza nell'uso improprio del termine "razzista". Il finale è tutto in positivo: una nuova vita nasce e di fronte al futuro che si fa carne anche il cuore più duro si commuove.
Mettersi in gioco a settantatré anni è un atto d'amore nei confronti di quel teatro per cui è stato autore di testi memorabili (da Stabat Mater, con cui ha esordito, a Casa di Ramallah) ed è un gioco serio e leale nei confronti del pubblico: la vitalità, l'ironia, la positività del drammaturgo fanno capire che il suo non è un vezzo senile, ma una reale necessità comunicativa. La sua generosità dimostra come sia un artista che ha ancora molto da dare al teatro. Colpisce la sua lucida capacità di fotografare il contemporaneo, e la sua conoscenza profonda del testo fanno emergere, nella sua intepretazione, aspetti sottili che altrimenti rimarrebbero in ombra.Con Gilda Postiglione e Oreste Valente forma un trio affiatato che fa da spalla alla regia vivace e fantasiosa di Cristina Pezzoli, in una scena dominata da tre grandi cornici che definiscono l'ambientazione, suggeriscono stati d'animo, fungono da scenografia. Danno un valore aggiunto alla parte registica le luci (suggestivi i tagli) e le musiche trascinanti di Roy Paci.Speriamo di vederlo ancora in tante altre piazze: questo spettacolo è prezioso ed è un regalo al teatro che tutti meritano di poter vedere.visto al Teatro Out Off il 27.II.2011
TRITICOdi Antonio Tarantinocon Antonio Tarantino, Gilda Postiglione e Oreste Valenteregia di Cristina Pezzoli