La storia per grandi linee è questa. Ci sono tre amici – giovani, sofisticati e colti – nell’Inghilterra degli anni Sessanta. A questi tre presto si aggiunge un quarto, ancora più sofisticato e colto. Si chiama Adrian e chiuderà il primo tempo del libro con un suicidio filosofico e materiale. Nella seconda parte siamo ai giorni nostri, l’io narrante Tony (uno dei tre amici) ha sessant’anni, un divorzio alle spalle, una figlia ormai grande e una vita abbastanza scialba. Tony riceve un’eredità singolare e inattesa che lo riporta agli anni della sua gioventù, a Veronica, la ragazza con cui aveva intessuto una relazione rimasta incompiuta, e soprattutto al suo rapporto con Adrian. Il buon Barnes, con sapienza da giallista, tira fino all’ultima pagina il senso (appunto) della fine di Adrian e per esteso l’inettitudine che ha infettato Tony per tutta la vita.
Letteratura patinata ho detto, perché non si trova in tutto il romanzo una sola sbavatura, perché tutto è perfettamente controllato dalla mano gelida e sapiente dell’autore, perché nonostante lo sfoggio di un mestiere invidiabile Barnes non lascia correre nella storia una sola goccia di sangue caldo, ma fa sì che tutto sia, per così dire, inerme, come se la vita dei personaggi fosse priva di materialità, ridotta a un perenne stato gassoso. Narrativa pseudo-colta, di quella che, se si è capaci di produrla come si deve (e Barnes ne è capace) poi in libreria si vende come il pane.