Il sermone sulla caduta di Romadi Jérôme Ferrari

Creato il 07 gennaio 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

Quello che mi ha attratto di questo libro è stato il titolo, Sermone sulla caduta di Roma, perché per noi romani questo fatto che Roma è caduta è una spina nel fianco da cui non ci siamo ancora ripresi. Ma Il Sermone sulla caduta di Roma in realtà è di Sant’Agostino che all’epoca dei fatti era presente ed essendo filosofo non poteva fare a meno di occuparsene. Così, quando nel V secolo i Visigoti invasero Roma, Agostino fece un discorso sulla caducità di tutte le cose, imperi inclusi. Tutto nasce si sviluppa e muore, dice Agostino d’Ippona. Sennonché il motivo per cui era tanto tranquillo e incoraggiava ad accettare il cambiamento era perché Sant’Agostino sotto sotto tifava per i Visigoti.
Ecco cosa pensa di lui Libero, uno dei protagonisti di questo romanzo (il sardo, quello più sveglio dei due): 

Non vedeva in lui nient’altro che un barbaro ignorante che gioiva della fine dell’Impero perché segnava l’avvento del mondo dei mediocri, degli schiavi trionfanti di cui lui faceva parte, i suoi sermoni trasudavano un gusto perverso di rivalsa, il mondo antico degli dei e dei poeti spariva sotto i suoi occhi, sommerso dal cristianesimo con la sua corte ripugnante di asceti e martiri e Agostino dissimulava il suo giubilo dietro a toni ipocriti di saggezza e compassione, com’è opportuno per i preti.

Mentre Libero studia Sant’Agostino, Matthieu studia Leibniz, ma a un certo punto i due amici lasciano l’università a Parigi e tornano nel paesino in Corsica per aprire un bar e costruire lì il migliore dei mondi possibili.
Il bello è che ci riescono.
Prendono quattro came- riere giovanissime che servono ai tavoli, un musicista e Annie, la cassiera che accoglie tutti con un bacio sulla guancia e una carezza alle parti basse, tanto che gli uomini del villaggio cominciano a fare parecchie apparizioni quotidiane.

Il paese si risveglia e, grazie al loro talento di gestori, nel piccolo villaggio corso si crea un’allegra brigata composta da clienti abituali, turisti, rozzi uomini locali e giovani, tutti attratti dall’alcool, dal buon cibo e soprattutto dalle donne. Ma il racconto del bar è il racconto di un paese, di una famiglia, di tre generazioni, che si svolge andando avanti e indietro nel tempo e nello spazio. Passato e presente si mescolano come i clienti del bar perché i bar in Corsica, dice lo scrittore, sono l’incrocio dei mondi.

Il romanzo si apre su una vecchia foto del 1918, mezza sbiadita, che ritrae una famiglia, ad eccezione del padre che era in guerra e di Marcel, che doveva ancora nascere. Ma è proprio Marcel che conserverà quella foto, che continuerà ad osservarla e diventerà il suo ultimo testimone quando tutti gli altri saranno morti. Il vecchio Marcel porterà con sé quell’immagine che perderà di senso e cesserà di esistere con la sua morte.
Allora nessuno ricorderà più quelle facce perché il loro mondo sarà finito, proprio come l’impero romano e il bar di suo nipote Matthieu. Questa fine dei mondi, che però non è la fine del mondo, è stata espressa egregiamente da Borges a proposito di Tlön:

Le cose, su Tlön, si duplicano; ma tendono anche a cancellarsi e a perdere i dettagli quando la gente le dimentichi. E’ classico l’esempio di un’antica soglia che perdurò finché un mendicante venne a visitarla, e che alla morte di lui fu perduta di vista. Talvolta pochi uccelli, un cavallo, salvarono le rovine di un anfiteatro.

(Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, primo racconto di Finzioni)

Così a un certo punto Marcel si renderà conto che non potevano liberarsi dell’ “influenza tossica” della loro terra natale e che “erano tutti dei contadini miserabili, usciti da un mondo che aveva smesso di esistere da molto tempo e che era rimasto attaccato alle loro suole come il fango, la sostanza vischiosa e malleabile di cui sono fatti e che si portanto dietro dappertutto, a Marsilia o a Saigon”.

Con Il sermone sulla caduta di Roma, Jérôme Ferrari ha vinto il premio Goncourt nel 2012, strappandolo tra gli altri a La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker. Ferrari è un professore di filosofia che ha insegnato in Algeria, ad Ajaccio e ora insegna al liceo francese di Abu Dhabi. Nato a Parigi nel 1968, è originario di Propriano, un paese corso vicino a Sartène, e ha trascorso l’infanzia e la giovinezza tra Parigi e la Corsica. Questo è il suo sesto romanzo, ma i precedenti non hanno avuto molto successo.

Col tempo anche il migliore dei mondi possibili si trasforma nel luogo della caduta e a Leibniz succede Sant’Agostino che nel 410 pronuncia il suo discorso nella cattedrale d’Ippona, in mezzo al deserto:

Roma non è stata costruita da gente come te?
Da quando credi che gli uomini abbiano il potere di costruire cose eterne? L’uomo costruisce sulla sabbia.
Se cerchi di stringere ciò che ha costruito stringerai solo vento.
Le tue mani sono vuote e il tuo cuore afflitto.
E se ami il mondo, perirai con lui.


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