Non credo che nella mia misera vita di cinefilo, abbia mai avuto tanta smania di vedere un film come con questo ultimo capitolo delle avventure della Terra di Mezzo. Non avevo atteso manco The dark knight rises, al di là di quelli che sono stati i meriti finali, con la medesima smania. Questo perché crescere con dei fumetti seriali, scritti da autori diversi e che si alternano (com'è giusto che sia) per qualità e importanza, è diverso dal crescere con un libro che ti ha formato così nel profondo e che ti ha condizionato nello scegliere quello che, ipoteticamente, avresti desiderato fare da grande. L'idea di andare a vedere questo film, in quell'indefinita età che va dai tredici ai quattordici anni, era una cosa che mi emozionava, che mi faceva capire che un breve ma significativo passaggio della mia vita era passato. Tre anni, a differenza dei quasi dieci che sarebbero serviti alla saga del maghetto occhialuto, ma più densi, più vivi e, manco a dirlo, più epici. E so che è stupido paragonare due storie così diverse, che pur appartenendo al genere fantastico mostrano degli elementi che le differenziano in tutto e per tutto, ma è proprio il lirismo e l'epica contenuta in The Lord od the Rings che mi ha fatto appassionare alle gesta dei popoli di Ea e, qualche anno più tardi, appassionare ai miti norreni che sono stati massima fonte di ispirazione per Tolkien nel ricreare il suo mondo fantastico.
La battaglia per la Terra di Mezzo ha inizio. Mentre Aragorn, armato nuovamente con la spada Narsil, ri-forgiata da Elrond, si prepara col resto della compagnia a dar man forte a Minas-tirith, Frodo e Sam vengono condotti da Gollum nella tana del mostro Shelob. E intanto la distanza col Monte Fato si assottiglia sempre di più...
Ci sarebbe una necessaria differenza da sottolineare fra quella che è la versione cinematografica e letteraria di The return of the King e, di conseguenza, sul modo in cui tutta la saga dell'Anello ha modo di concludersi. Omettendo la presenza di Shelob in quest'ultimo capitolo, che doveva avvenire ne Le due torri ma che un motivo di tempistica è stata (con efficacia, aggiungo) spostata in questa sede, voglio dirottare le attenzioni generali su quello che è stato il modo di concludere le due versioni dell'opera. Tutti concorderemo che, nonostante la presenza di orchi, elfi e altre bestie strane, quella di Frodo e compagni di merende è stata una bellissima e perfetta allegoria sulla crescita in un mondo che sembra aver perso le proprie tradizioni. Nel libro questo concetto veniva maggiormente rimarcato quando Frodo, dopo aver distrutto l'Anello, faceva ritorno alla Contea, ritrovando nientemeno che Saruman e Vermilinguo, che erano riusciti ad assoggettare una parte della comunità Hobbit. Era la prova che il male si può annidare ovunque, che tutti sono soggetti alla sua influenza e che manco la comunità borghese rappresentata dagli Hobbit poteva avere scampo da questa terribile malattia. Non c'erano più grandi scenari ed epiche battaglie, ma anche piccole comunità e villaggi quasi da non considerare rispetto a quelle che erano stati
i sanguinosi conflitti nelle varie capitali dei Re. Un discorso sociologico, quasi, mentre il film decide, sempre per i soliti motivi di spazio e tempistica cinematografici, di concentrarsi unicamente sulla crescita di Frodo dopo l'incoronazione di Aragorn. Due cose abbastanza diverse ma che, nella loro funzione, risultano davvero efficaci. E ambedue si concludono su quel "Ora sono a casa" detto verso la fine da Sam, vero fulcro di tutta la vicenda. Sono differenze che possono sembrare minime, ma che racchiudono al proprio interno tutta la grandezza di una storia narrata da un maestro. E anche Peter Jackson a suo modo è stato un maestro, perché è riuscito a filmare quello che prima era ritenuto infilmabile (persino Kubrick era interessato all'epopea tokieniana), conglomerando tutte le sue forze in tre film che sono riusciti a segnare la storia recente del cinema d'intrattenimento. Perché sì, nonostante la qualità e tutti i pensieri che ne sono stati alla base, i tre film della Terra di Mezzo rimangono quello. Dei blockbuster ottimamente confezionati e, soprattutto, con un'anima, realizzati con passione e competenza. La prova definitiva che anche il cinema 'popolare', per usare un gergo che piace molto a certi critici, può ambire a essere artisticamente valido se è stato realizzato da persone che sanno il fatto loro - omettendo il fatto che dopo questo, Jackson non ne imbroccherà più una. L'ultimo capito delle avventure della Compagnia infatti possiede tutto quello che serve per un film di questo tipo, ha le battaglie, i giusti momenti di riflessione e degli effetti speciali che ancora oggi fanno rabbrividire, facendo comprendere quindi l'effetto che dovevano avere avuto sul pubblico dell'epoca. E dimostra che Peter Jackson sa essere davvero un signor regista perché, oltre ad un ritmo davvero ben sostenuto e che non fa pensare le quasi quattro ore di durata, ha saputo creare uno spettacolo di rara potenza e carisma, usando le sue solite panoramiche a cui è molto affezionato ma non facendo pesare la cosa, perché sottolineavano l'immensa portata delle azioni delle forze coinvolte nell'ultimo, gigantesco conflitto. Ma usa la propria arguzia anche per una scena molto bella, quella che vede Gollum cadere nella lava del Monte Fato (compiendo il discorso fatto da Gandalf ne La Compagnia dell'Anello), ma rendendolo così assuefatto dal potere dell'Unico da renderlo incurante del fatto che il suo corpo sta venendo bruciato. Una scena piccola, che forse si disperde in quello che è il tripudio visivo che seguirà, ma che fa comprendere l'amore che è stato riversato in ogni sequenza e personaggio di questo film. Un film che conclude degnamente una saga che ha dell'incredibile e che, dopo un viaggio così vivido e realistico, una volta che iniziano a scorrere i titoli di coda, ci fa sembrare di essere arrivati per davvero a casa. E soprattutto, ci fa sentire diversi da quando eravamo partiti.Sorvolando sugli undici Oscar vinti, dei quali ce ne importa relativamente poco, ribadisco la bellezza di questo film. Un'emozione continua che mi ha accompagnato da piccolo fino ad oggi.
Voto: ★★★★★