Non molto tempo fa ero lì lì che in linea del tutto teorica avrei dovuto scrivere per un periodico locale un pezzo di una certa consistenza [quantomeno quantitativamente parlando] sulla situazione della comunità gay-lesbo-trans-sicuramentedimenticoqualcosa, nel trevigiano. Non che l’abbia chiesto, risposi a un Chi-vuole-farlo? Presente.
Poi è calato una specie di silenzio tombale, pare che nelle settimane precedenti ci fossero state delle critiche a furor di popolo per una foto di copertina con anziani paciosi avvolti da asciugamani in sauna.
Ora sul medesimo periodico leggo un pezzo di apertura su due monache di clausura brasiliane poco più che ventenni. Il che, posto che nella mia blasfemia generalizzata ho un certo rispetto per le monache di clausura. Forse perché fanno dei buoni prodotti erboristici. O perché me le tengo buone per un’eventuale crisi mistica. Il che, posto che non ho nulla contro le signorine in questione, mi fa pensare che in generale, non c’è speranza di defibrillare il territorio. Ma soprattutto mi fa pensare a quando l’amico di un conoscente di mio cugino che faceva medicina mi ha raccontato di quella volta che un prof gli ha fatto vedere delle ecografie transvaginali e rettali con sorprese fantasiose, e ora vado, perché sarò occupata a ridere tutto il giorno.