Flannery O’Connor scriveva che se si è sopravvissuti alla propria infanzia si possiedono abbastanza informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni.
Credo avesse ragione. Se non si riesce a spremere qualcosa di buono da quello che ci circonda, se non si possiede la capacità di estrarre il tesoro che sonnecchia da qualche parte, sotto le spoglie del quotidiano, è impossibile scrivere qualcosa di valido.
Però il quotidiano si presta anche al banale vero? Se si viene piantati da una lei, scatta il desiderio di spiegare al mondo il proprio dolore immenso, perché a parte quello provato dai dinosauri colpiti dal meteorite, non ce n’è mai stato uno uguale in questa parte di universo.
L’errore più grande è quello di fermarsi alla superficie delle cose. Degli eventi. Se agisco in questa maniera, è evidente che tutto è degno di essere raccontato, pubblicato, acclamato e (perché no?) premiato. E tutti siamo scrittori di conseguenza. Chi non è stato piantato da una ragazza? Quale settimana a Marbella non ha influito enormemente su ciascuno, facendogli credere che sia doveroso mettere tutto nero su bianco?
E l’errore deflagra quando non si osserva, e si preferisce guardare. Se guardo mi fermo al primo livello. Se osservo, scendo e mi avvicino al cuore delle cose. Ed è un cuore che la maggior parte delle persone non vede, non vuole vedere, oppure è troppo pigra per accettarlo.
Se si possiede il talento, e si osserva, tutto diventa degno di considerazione. Non importa quali esperienze abbiamo alle spalle.
A questo punto appare evidente come si tratti di una faccenda difficile da insegnare. È invece una disciplina che ci si deve imporre e che ben pochi hanno voglia di accettare. Il che rappresenta un’ottima notizia: meno concorrenti, vero?
Più certi processi diventano accessibili a chiunque, e maggiore deve essere l’attenzione per quello che il processo deve… generare. Pubblicare è alla portata di un clic? Bene, ma perché farlo? Perché scrivere? È sufficiente riempire una pagina di parole che a occhio funzionano?
Forse è bene “fermare le macchine” e tornare a ragionare sui cardini che tutto reggono e muovono. Uno di questi (non certo l’unico) è il silenzio. E questo precede l’osservazione attraverso i sensi. L’occhio e non solo. Ma sì, di certo il silenzio è il primo passo nella giusta direzione.