Calma, cari i miei amici tupiniquins. Non sono io a dire questo ma Samantha Pearson del Financial Times.
Secondo questa giornalista americana “… Il sistema fiscale del Brasile in questi giorni assomiglia sempre più alle soap opera popolari del paese o a quelle telenovelas contorte, farsesche e incredibilmente difficili da seguire.
Dopo mesi di frequenti agevolazioni fiscali, l’atto finale del protezionismo brasiliano ci fu nella notte di martedì 4 settembre con l'annuncio di tasse di importazione più elevate per almeno 100 prodotti!
In quella lista c’era di tutto: dalle patate ai pneumatici, insieme ad altri prodotti delle industrie siderurgiche, chimiche e farmaceutiche.
La logica dietro questa decisione era chiara: respingere gli stranieri e contribuire a rafforzare la produzione nazionale, che è stato uno dei principali fattori sulla crescita.”
Secondo invece Alberto Ramos, vice presidente della Goldman Sachs
“… Aumentare il livello di protezionismo e isolazionismo tende a essere associato a una crescita inferiore crescita di produttività, visto che si ammorbidisce la concorrenza nel mercato interno (di solito porta a più bassi livelli di investimento in R & S e riduce l'incentivo a innovare e spostare la frontiera tecnologica). Infine, la protezione del commercio interno di solito è per lo più un palliativo a breve termine che distrae dai venti contrari che influenzano il settore industriale in Brasile: vale a dire, maggiore lavoro, energia, e costi della logistica, una pressione fiscale elevata e distorta, la mancanza di manodopera qualificata, infrastrutture pubbliche inadeguata, ecc, per citarne solo alcuni.”
Sarà che tutti stiano sbagliando, e che solo il Brasile stia facendo la cosa giusta?
fonte: Financial Times