IL SISTEMA
A cura di Joan Leo
La storia del calcio è scandita anche da date che sono pietre miliari della sua storia.
Il 25 giugno 1925 è senz’altro una di quelle, definita dal fratello di Hugo Meisl, Willy, “fateful”, fatale per le sorti del calcio.
Ovviamente noi sappiamo che si sbagliò, ma all’epoca la decisione dell’International Board sollevò davvero grandissime dispute. Nella puntata precedente abbiamo detto che lo stratagemma adottato per far scattare sistematicamente il fuorigioco aveva abbassato drasticamente il numero di reti segnate e aveva fatto allontanare gli spettatori dal calcio. Chiaramente occorreva prendere contromisure e l’International Board proprio nella seduta del 25 giugno decretò la modifica della regola del fuorigioco, statuendo che per considerare un giocatore in gioco occorressero tra lui e la linea di porta non più tre avversari, ma soltanto due.
Era un cambiamento epocale. Oltrechè un successo nell’immediato, poiché si ricominciò a segnare copiosamente e dunque anche gli spettatori ritornarono ad affollare gli stadi.
Tutto bello, tutto a posto?
Sì, ma chiaramente gli allenatori da subito iniziarono a pensare alle nuove contromisure da adottare. In special modo un allenatore ha legato indissolubilmente il proprio nome a questa novità regolamentare, Herbert Chapman. Da giovane calciatore del Tottenham, lasciò ben presto la carriera per dedicarsi agli studi del calcio e alla attività di manager, vincendo tutto nella prima metà degli anni’20 alla guida del Huddersfield Town.
Nel 1925 venne ingaggiato dal Woolwich Arsenal dove come prima cosa volle il vecchietto ma sempre affidabile Charlie Buchan quale “allenatore in campo”.
I due, assieme, trovarono la risposta difensiva perfetta alla nuova regola del fuorigioco. E per farlo non dovettero neanche fare troppa strada perchè si limitarono a rendere popolare un sistema di gioco che già da anni veniva usato in Scozia.
Come sempre gli scozzesi inventavano e gli inglesi propagandavano… In buona sostanza cosa fecero Chapman e Buchan? Arretrarono il centromediano dandogli il compito esclusivo di marcare il centravanti avversario.
Questa intuizione venne definita dalla stampa come “Chapman System”, et voilà, il “Sistema”. Questo modulo prevedeva che dalla originaria “Piramide di Cambridge” (ricordi?) il centromediano arretrasse sulla linea – a volte appena un po’ più avanti – dei due terzini a marcare il centravanti, con il conseguente allargamento di questi ultimi sulle fasce a marcare le ali avversarie.
I mediani si accentravano acquisendo un doppio compito, sia difensivo sui mediani avversari, sia offensivo costruendo il gioco con le mezzeali che, a loro volta, arretravano a centrocampo venendo così a disegnare una specie di quadrilatero di centrocampo.
In attacco, infine, restavano le due ali estreme e il centravanti.
Tutto il gioco diventava un “uno contro uno” con forti implicazioni difensive; insomma, come bene dice Carlo F. Chiesa, Chapman “trasformava la partita in una serie di duelli individuali” e per ottenere il massimo, grazie ai soldi – parecchi – dei proprietari dell’Arsenal, si fece acquistare i giocatori che meglio di tutti erano in grado di interpretare il ruolo richiesto.
Per primo ingaggiò Eddie Hapgood che divenne uno dei più grandi terzini sinistri di posizione di ogni tempo; poi prese Herbert Rogerts che venne impostato come il primo terzino centrale della storia con il compito precipuo di seguire il centravanti e controllare tutta la linea di difesa posizionandosi appena avanti i terzini: lui era il “poliziotto”, lo stopper, la diga che dava concretezza al principio sommo del “safety first”, parola d’ordine della tattica di Chapman. Trasformando la fase difensiva da zona a uomo, occorreva avere i giocatori migliori e Chapman li ebbe. E vinse tutto. Ecco perchè in Italia il “sistema” non ebbe grandi seguaci. Occorreva avere interpreti all’altezza e soltanto il “Grande Torino” negli anni’40 riuscì ad averli e a vincere.
Da noi per tutti gli anni’30 non ci si discostò mai dal “metodo” sino a quando nel 1939/40 Garbutt impostò il suo Genoa con il “sistema”. Eccezione degna di menzione l’Inter di Arpad Weisz che nella stagione 1927/28 adottò per la prima volta la linea “a cinque” che prevedeva, oltre ai due terzini “metodisti” la presenza, arretrato in mezzo a loro, del centromediano Bernardini e i due mediani incollati alle ali avversarie.
Fu, però, un esperimento da un lato forzato dall’assenza per squalifica del difensore Allemandi e dall’altro dovuto al fatto che lo stesso Weisz era probabilmente assieme a Garbutt uno dei massimi studiosi di tattica calcistica presente ed operante in Italia in quegli anni. E mentre in Inghilterra dilagava il sistema e l’Italia iniziava a vincere tutto ciò che c’era da vincere con il metodo, zitto zitto in Svizzera un austriaco modellava le sue squadre attraverso un nuova variante tattica, della quale parleremo la prossima volta.