Il soffio di libertà di Ken Parker

Creato il 08 febbraio 2015 da Chemako @chemako71

La riproposizione settimanale dell'umana avventura di Ken Parker nella collana omonima edita da Mondadori corre più veloce di quanto io riesca a scriverne su questo blog. Col numero 41 attualmente in edicola, fumetteria e libreria, intitolato Un soffio di libertà, stiamo per approssimarci alle ultime storie del nostro biondo trapper che, in origine, furono proposte sul Ken Parker Magazine. L'esperimento editoriale, condotto prima da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo anche in qualità di editori (attraverso la Parker Editore) e poi di nuovo sotto le ali più economicamente rassicuranti della Sergio Bonelli Editore, terminò con La carovana Donaver, storia suddivisa nei quattro numeri successivi. Il magazine, come formula editoriale attraverso cui proporre i fumetti, era ormai in profonda crisi e, nonostante l'alta qualità delle sceneggiature e dei disegni che arricchivano la pubblicazione e l'interessante apparato redazionale, non sfuggì alla chiusura. Il rilancio della testata da parte di Sergio Bonelli non aveva potuto nulla contro il calo costante di lettori. Si passò quindi al formato classico bonelliano con cui vennero pubblicati quattro albi speciali di Ken Parker. E queste furono le ultime storie di Lungo Fucile fino a Canto di Natale, il portfolio edito da Spazio Corto Maltese presentato a Lucca 2013, che segnò il ritorno di Chemako con una storia inedita. Il 10 aprile Mondadori pubblicherà Fin dove arriva il mattino, il volume numero 50 della sua collana Ken Parker: qui ci sarà l'epilogo dell'avventura di Ken. Lo vedremo finalmente uscire da quel mondo carcerario che vede il suo esordio lungo proprio nell'episodio Un soffio di libertà.

Ken è stanco di scappare da una giustizia ingiusta che lo ha inseguito per migliaia di chilometri lungo le fredde terre del Canada. Sono stati questi gli splendidi scenari naturali delle avventure di Lungo Fucile narrate nel Ken Parker Magazine. La natura è stata una coprotagonista, ancor di più che nella prima serie. Ma la costante psicologica del Nostro e del suo lettore è la tristezza. Ho trovato, in questa rilettura del Magazine, un Ken diverso da quello targato Cepim. In fondo son passati quasi vent'anni dalla sua creazione e Berardi, di cui Ken è l'alter ego, lo specchio attraverso cui guardarsi dentro, è cambiato. Gli entusiasmi giovanili si sono attenutati, lasciando spazio ad una maggiore consapevolezza di come va il mondo. Le esperienze vissute da Ken sono state sempre caratterizzate da una profonda empatia nei confronti dell'altro. Ma hanno lasciato molte cicatrici. La disillusione si è fatta strada nell'animo di Ken, senza comunque mai intaccare la sua propensione a porsi nei panni degli altri e a correre in loro aiuto. Lo fa continuamente anche a discapito dei propri interessi. Ma il prezzo psicologico è alto. Alla fine dell'episodio Il marchio dei McCormack Ken si consegna fra le braccia dello sceriffo Lusky, nonostante questi non si regga in piedi, e dopo averne usato l'identità per risolvere un assassinio che aveva sconvolto la famiglia McCormack. Ancora una volta Ken viene scambiato per un altro ma non ne approfitta. Potrebbe fuggire visto che Lusky è incosciente ma la sua etica lo spinge a restare per aiutare la famiglia che lo ha soccorso. Contro i propri interessi. Ma forse il suo interesse è proprio quello di essere a posto con la propria coscienza. Così Ken, stanco di fuggire, accetta il suo destino che lo porta fino al penitenziario di Jackson County.

Ogni volta che leggo un fumetto o romanzo di ambientazione carceraria o guardo un film su questo tema (come Brubaker interpretato da Robert Redford) sono assalito da un profondo disagio. Vedo me stesso come detenuto e mi trovo a pensare a come, e se, sopravviverei in un inferno nel quale si viene privati del valore che dà dignità alla nostra vita: la libertà. Ken prova a sopravvivere ed è anche, inizialmente, abbastanza fortunato (si fa per dire) perché il direttore del penitenziario è un illuminato. Ha introdotto delle riforme tese a rendere il carcere un posto più umano: i prigionieri non sono incatenati, possono ricevere la posta dall'esterno, i neri e i bianchi convivono insieme. In altre parole cerca di mettere in pratica le idee di Cesare Beccaria, trasformando il carcere da luogo di punizione a luogo di recupero. Sfortunatamente le cose non vanno come il direttore vorrebbe, perché il capo dei suoi secondini è un violento che si accanisce sui detenuti con sadismo.

La storia disegnata da Ivo Milazzo si apre con un vano tentativo di fuga sotto la pioggia. L'assassinio del fuggiasco, torturato in carcere dai secondini, costituirà il motivo della rivolta in cui verrà coinvolto Ken. Ancora una volta le qualità umane del Nostro si pongono al servizio di quello che è considerato dalla maggior parte dei detenuti come l'unica possibilità di salvezza: la trattativa. Con l'incombere dell'esercito schierato e pronto ad intervenire, Ken e i capi della rivolta cercano di parlamentare per ottenere l'arresto del capo delle guardie, ostaggio degli stessi carcerati. La sete di vendetta di alcuni detenuti fa però precipitare la situazione e il tragico epilogo vede l'intervento sanguinario dell'esercito, la fine drammatica della rivolta e, con essa, l'addio ai sogni di riforma del direttore. La trama segue un filo se volete scontato, ma il valore della storia sta, come sempre capita con Berardi, nei personaggi. Shute, il fuggiasco, Moore, il capo delle guardie, Blacksie, il cane poliziotto, "Nail" Osborne, il capo dei detenuti, Luke, il suo braccio destro, Pitch, il prigioniero che causa l'intervento dell'esercito, Compton-Scott, il direttore del penitenziario, Agnes, la moglie, e Lucy, la figlia, entrambe ostaggi dei detenuti, Artie, il vecchio ergastolano che accompagna Lucy ogni giorno in calesse fuori dal carcere, McCoy, il giornalista del Washington Journal che intervista il direttore, il Colonnello Brannigan, comandante del battaglione che pone fine alla rivolta. Di ognuno Berardi delinea la psicologia attraverso poche parole e pochi gesti, resi con il solito realismo da Milazzo. La loro veridicità rende la storia credibile, vera, unica. Ken è testimone, ancora una volta, delle relazioni umane che intercorrono in un universo per lui nuovo: il carcere. Il primo assaggio è stato terribile. Dovrà imparare a conviverci, e in condizioni anche peggiori.

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