Il sogno di Borges

Creato il 07 novembre 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

“Con Borges” è un libro interessantissimo: il suo autore, Alberto Manguel, all’età di sedici anni, incontrò nella libreria Pygmalion di Buenos Aires, in cui lavorava, lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, affezionato cliente e assiduo frequentatore. Questi gli chiese un giorno di prestargli i propri occhi e la propria voce, in altre parole, di leggere per lui: Borges infatti all’epoca era pressoché cieco e la madre Leonor, oramai novantenne, si stancava facilmente, così riporta Manguel. Inizia così un rapporto fatto di letture e conversazioni sui libri che non mi stanco di invidiare. Ma questo ora non è rilevante. Ciò che invece mi interessa è un episodio che nel libro di ricordi viene rievocato, ovvero quando Borges, insieme al suo amico Adolfo Bioy Casares e con la moglie di quest’ultimo, Silvina Ocampo, racconta i sogni avuti durante la notte. Si intende, da come viene presentata nel libro, che questa era una pratica abituale, come se i tre dedicassero una sera a settimana al racconto delle proprie visioni avute in sonno; o almeno questo è quello che mi piace pensare.

Borges, si può dire, era un appassionato, un cultore del sogno. Scrive, ne “Il manoscritto di Brodie”, che per alcuni il sonno non è che un’interrotta serie di sogni; penso che aspirasse ad un sonno tale, ma non escludo che possa essere una rivelazione autobiografica, che tra i generici “alcuni” fosse compreso lui stesso. Quello che invece posso dire con una certa sicurezza è che la sua vita fu un’interrotta serie di sogni. Sogni sono quelli che ci ha lasciato nei suoi libri, i sogni sono “ciò che perdura dello strano destino dello scrittore” per dirla con le sue stesse parole. In Borges, concretamente nella sua terminologia, i confini tra il narrare e il sognare si fanno sottili e impalpabili (tanto che il termine “sogno” spesso equivale a “opera letteraria”); quello che però più mi interessa è il risultato di queste azioni, ciò che producono, o meglio, che creano. Caratteristica preminente di queste attività è infatti la loro potenza creativa e creatrice. Eppure, sebbene esse ci appaiano così vicine e quasi sovrapponibili in un discorso generale, se ci avviciniamo fino a guardarle da vicino possiamo notare che qualche differenza c’è. In un saggio [1] del 1712 pubblicato su “The Spectator”, Joseph Addison scrive che “non c’è azione più faticosa per la mente dell’invenzione: eppure nei sogni funziona con una facilità ed una prontezza che non si verificano quando siamo svegli”. La creazione onirica insomma è di una finezza superiore per le sue qualità di spontaneità e naturalezza che le donano un non so che di dolce ed ammaliante; forse anche per la tendenza del sogno ad essere qualcosa di universalmente comprensibile e da qui, aggiungerei, apprezzabile.

Penso sia da attribuire ad analoghe ragioni la grande forza di quello che secondo me è uno dei più memorabili racconti di J. L. Borges: “Le rovine circolari”. È un racconto fantastico, genere amato dal grande scrittore argentino e coltivato lungo tutta la sua vita con devozione ammirevole. Fu scritto, dice il suo autore, come in sogno, preso da un’ispirazione inconsueta senza un vigile controllo sulla creazione. La conoscenza di questo stato di non totale coscienza è stata per me la causa di un leggero sorriso. Per poterne spiegare il motivo è necessario introdurre la trama del racconto: un uomo solitario e taciturno (sarà poi definito “mago”) si stabilisce presso un antico tempio devastato dagli incendi dopo un viaggio straziante; lì concepisce il proposito di sognare un uomo: “voleva sognarlo con minuziosa completezza e imporlo alla realtà”. Fa del sonno la sua occupazione, si impegna a dormire. Dopo aver completato la sua creatura nel sogno prega il dio del tempio abbandonato, che si rivelerà essere il Fuoco, invocando il suo soccorso: il dio gli risponde dicendo che avrebbe “animato il fantasma sognato” di modo che tutti, eccetto il suo creatore (sognatore) e il dio stesso, “lo pensassero come un uomo in carne ed ossa”. Dedica poi due anni all’istruzione del figlio, al termine dei quali questo viene inviato in un altro tempio. “Lo scopo della sua vita era raggiunto”. Un giorno due rematori lo svegliano e gli parlano di un uomo che abita un altro tempio simile capace di camminare nel fuoco restando incolume. “Ricordò che fra tutte le creature che compongono l’orbe, il Fuoco era l’unico a sapere che suo figlio era un fantasma. Questo ricordo, all’inizio rassicurante, finì per tormentarlo. Ebbe timore che suo figlio meditasse su quel privilegio anormale e scoprisse in qualche modo la sua condizione di mero simulacro. Non essere un uomo, essere la proiezione del sogno di un altr’uomo: che umiliazione incomparabile, che vertigine!”. A questo punto il suo rimuginare viene interrotto in modo brusco e, per il lettore, inaspettato: un incendio si abbatte sul tempio del mago; leggiamo le parole conclusive del racconto: “Le rovine del santuario del dio del Fuoco vennero distrutte dal fuoco. In un’alba senza uccelli il mago vide avventarsi contro i muri l’incendio concentrico. Pensò, un istante, di rifugiarsi nell’acqua; ma poi comprese che la morte veniva a coronare la sua vecchiaia e ad assolverlo dalle sue fatiche. Camminò contro le lingue di fuoco. Esse non morsero la sua carne e lo inondarono senza calore e senza combustione. Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che anche lui era un’apparenza, che un altro lo stava sognando”.
Il mio sorriso deriva da una delle possibili interpretazioni del finale del racconto, quella secondo cui è proprio Borges a sognare e creare il mago che a sua volta crea sognando suo figlio. Si potrebbe quindi leggere il racconto come metafora della sua composizione, un racconto che, attraverso la solida impalcatura di una bellissima storia fantastica, sveli il procedimento di scrittura del suo creatore il quale, se si tiene fede a quanto dichiara, lo scrisse appunto in uno stato di sogno.

1. Il saggio sarà ripreso non a caso da Borges nel suo Libro di sogni, una raccolta di testimonianze letterarie di sogni, una miscellanea di esperienze oniriche.

Paolo Cerutti



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