IL SOGNO DI CARAVAGGIO - di Rossella Montecchi

Creato il 25 marzo 2013 da Ilibri

Titolo: Il sogno di Caravaggio
Autore: Rossella Montecchi
Editore: Giovane Holden
Anno: 2012

Caravaggio gioca il jolly e porta a casa il montepremi: un anno extra di vita per redimersi come uomo e reinventarsi come artista. A condurre il gioco è Rossella Montecchi, laureata in Filologia Romanza e Storia dell'Arte, che dedica al pittore lombardo il proprio romanzo d'esordio. Trattasi di un'inventata ricostruzione storica (con tanto di data ad aprire ogni capitolo): l'autrice immagina che il 18 Luglio 1610, sulla spiaggia del Tombolo della Feniglia, una giovane bella caritatevole (povera e sola al mondo) diciassettenne, Lucia, soccorra il morente Michelangelo Merisi da Caravaggio. Esperta d'erbe e di rimedi naturali, con pazienza e determinazione, la fanciulla strapperà il pittore alla malaria e curerà le sue ferite (scongiurandone, tra l'altro, l'incombente perdita della vista). Ripartirà così, per dodici mesi pressoché esatti, la vita del grande Caravaggio: apprendistato maremmano durante il quale rivoluzionare il proprio stile (e addomesticare il proprio carattere), ritorno a Roma affiancato dall'ormai inseparabile sua salvatrice – e perché non adottarla, assicurarle una dote e proteggerla sempre? –, nuovi facoltosi committenti e nuove, straordinarie opere. Successo e denaro. Il grande artista entra inevitabilmente in contatto con le più grandi personalità del tempo: da papa Paolo V – che capita di trovar nominato Pio V, ma pazienza, no? – al Cardinal Scipione Borghese, dalla famiglia romana dei Colonna a quella genovese degli Spinola. Nel romanzo Caravaggio avrà finanche l'occasione di incontrare Galileo Galilei e di essere ospite del suo protettore, il Granduca Cosimo II de' Medici. Nobiltà e intrighi entrano di gran carriera nelle pagine della Montecchi: furti di quadri, trattative di matrimonio, offese e vendette... ci scappa pure il morto! Ma accanto a questa magna Roma, nel romanzo, trova anche spazio la realtà più dimessa delle botteghe e delle taverne, così come quella più misera delle campagne.

Merito dell'autrice è certamente quello di aver saputo ricostruire un'ambientazione credibile – al di là dell'uso talvolta arbitrario (improprio ma consapevole, scrive la Montecchi) di località e distanze –: «i rimedi erboristici e le [...] cure mediche, [...] la descrizione di cibi, fiori, piante e animali hanno riferimenti comprovati [...]. L'abbigliamento, gli arredi, le architetture [...] hanno basi studiatamente possibilistiche» (ci avverte l'autrice, p. 9). Tuttavia, una cornice così ben studiata finisce spesso per appesantire la lettura: il lettore più diligente, patteggiando con la noia, proverà per scrupolo a cercare il nome di qualche erba (pianta o altro) sul vocabolario; quello più smaliziato salterà inevitabilmente righe e righe di descrizione – e non mi sento di fargliene una colpa! –. Altro elemento probabilmente superfluo, una sorta di vezzo della scrittrice, è la chiusa di ciascuno dei primi capitoli (quelli ambientati in Maremma) con una scena bucolica e tanto di animaletto che fa l'occhiolino dalla pagina: personalmente, l'ho trovato persino fastidioso!

Ma veniamo al vero punto debole del romanzo: duole dirlo ma temo si tratti dei protagonisti, i personaggi. Lucia è insostenibile: bella buona brava. Giovane ingenua caritatevole. Paziente, risoluta, saggia (!). Vien fatto di pensare all'altra omonima eroina (e modello specchiato di virtù) della Letteratura nostrana: Lucia Mondella, però, una bastava e avanzava – e sarà comunque opportuno non scomodare Manzoni, al quale resterem pur sempre debitori per svariate faccende. Se nei personaggi il lettore cerca d'immedesimarsi... provi a essere all'altezza di questa integerrima Lucia e ci faccia sapere! Che non sia davvero una maga, come la giudicavano alcuni per via delle sue arti mediche? È certamente una strega, se si pensa all'influsso che ha prodotto sul pittore lombardo, irriconoscibile dopo l'incontro e le cure della giovinetta. Lo troveremo appassionato cultore della Bibbia (lettura inseparabile che l'autrice si troverà costretta a controbilanciare con un'improvvisa quanto superflua adorazione per l'eretico Giordano Bruno), amorevole padre adottivo, amico indefesso degli umili. E per fortuna che qualche provocazione e minaccia di troppo gli rubano ancora, per qualche istante, il sonno e il senno; per fortuna che un'antica fiamma, Anna Bianchini – anche lei rediviva e "trasformata" per l'occasione –, riesce a risvegliare in lui una qualche scintilla di passione. Ma siamo davvero lontani dal Merisi che ci restituiscono le cronache e le testimonianze del tempo. E comprendiamo l'intento dell'autrice di voler fornire al lettore un Caravaggio inedito, un uomo che, scampato alla morte per un soffio e con un omicidio sulla coscienza, avesse l'opportunità di redimersi. Tuttavia Rossella Montecchi crea una versione assai poco credibile, a mio parere, del Merisi uomo... a tratti persino stucchevole. E pensare a quanto invece avrebbe potuto inventare di nuovo, con a disposizione una personalità indomita quale quella del Merisi autentico... diciamo così! Stesso destino tocca in sorte al Caravaggio pittore. Caro lettore, se hai comprato Il sogno di Caravaggio nella speranza di poter fantasticare su nuove e immaginarie opere del tuo artista... bè, sappi che anche in questo caso faticherai a distinguere i tratti distintivi del tuo pittore preferito! Abbiamo qui davvero un Caravaggio inusitato: un cultore della pittura en plein air, dei colori luminosi e vivaci, degli sfondi paesaggistici e rigogliosi... davvero irriconoscibile questa sorta di precursore ante litteram di un Impressionismo ancora molto lontano da venire. Considerando poi l'intero romanzo, il personaggio meglio riuscito pare proprio l'unico per il quale l'autrice sente il bisogno di scusarsi: «l'attribuzione al Cardinale Scipione Borghese di tale e tanta ignominia è solamente una licenza prosastica» (p. 9)... e l'attribuzione di tale e tanta bontà d'animo a Michelangelo? Comunque, dicevo: questo cardinale, che prima si comporta da disinteressato mecenate del Caravaggio redituro in Roma, poi pretende invece in cambio assoluta obbedienza ai propri capricci, è l'unico personaggio in cui si possa apprezzare un'evoluzione – o involuzione, se si preferisce –, è l'unico in grado di suscitare la curiosità di chi legge: ci si chiede infatti chi gli fornisca le informazioni necessarie a ordire le sue trame; purtroppo l'interrogativo resterà irrisolto: Rossella Montecchi lascia cadere l'unica argomentazione che tiene desto chi legge.

Infine, una parola sul rapporto che l'autrice intrattiene col proprio lettore. Sembra davvero che la Montecchi nutra scarsa fiducia nelle capacità interpretative del proprio pubblico tanto che, a ogni passo, si sente in dovere di fornirgli la corretta chiave di lettura. Un esempio:

«Che fortunata coincidenza! Il mio amico Caravaggio assieme al mio corniciaio!» I due aggettivi possessivi erano stati usati a bella posta perché fosse chiaro che, non essendo abitualmente suo l'artigiano, anche l'appellativo di amico risultasse ugualmente inadeguato e ironico. (p. 353)

Così facendo l'autrice spegne ogni facoltà interpretativa del lettore, oltre ad appesantire ulteriormente la già massiccia mole del proprio romanzo. Lo stesso avviene anche sul finale: che sia un sogno o meno, questo ulteriore anno di vita del pittore, perché non lasciarlo decidere a quanti si son presi la briga di arrivare in fondo a queste (tante, troppe) pagine?

Voto i-LIBRI:

  

  

 

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :