La via dormiva ancora, impigrita dalla festa del giorno innanzi. Rintoccarono le sei. Nelle tenebre inazzurrate dal lento e ostinato cadere dei fiocchi, non c’era altro di vivo che una forma indistinta: una fanciulletta di nove anni, che rifugiatasi nella strombatura del portale, vi aveva trascorso la notte a tremare dal freddo, riparandosi alla meno peggio. Era vestita di stracci, con la testa avvolta in un lembo di scialle e i piedini ignudi dentro un grosso paio di scarpe da uomo. Indubbiamente, si era fermata in quel posto solo dopo aver vagato a lungo per la città, che vi era caduta stremata dalla stanchezza. Aveva la sensazione di essere giunta in capo al mondo: più nessuno e più nulla, l’estremo abbandono, la fame che rode, il freddo che uccide; e nella sua debolezza, soffocata dal greve fondo del cuore, ella desisteva da ogni lotta; non le rimaneva che la repulsa fisica, l’istinto di mutar di posto, di rannicchiarsi tra quelle vecchie pietre ogniqualvolta una nuova raffica faceva vorticare la neve.
Una dietro l’altra le ore passavano.
Per un pezzo la bimba era rimasta appoggiata, tra il doppio battente dei due vani gemelli, contro la spalletta, il cui pilastro regge una statua di sant’Agnese, la martire tredicenne, bimba al pari di lei, con un ramo di palma in mano e un agnello ai piedi . E nel timpano, sopra l’architrave, si svolge in altorilievo, con candida fede, tutta la leggenda della vergine fanciulla, fidanzata di Gesù: la volta che i capelli le si allungarono e la rivestirono tutta, quando il governatore, di cui ella rifiutava il figlio, la mandò ignuda in una casa infame; e quando le fiamme del rogo, scostandosi dalle membra di lei, arsero i carnefici non appena ebbero appiccato il fuoco alla legna.(…)
A sommo il timpano, poi, in una apoteosi, Agnese viene finalmente accolta in cielo, dove il suo fidanzato Gesù la sposa, giovane e piccina com’è, dandole il bacio delle eterne delizie.