di Giovanni Agnoloni
Oggi ho il piacere di intervistare Paolo Bianchini, che è anche il regista di quest’opera tanto delicata quando drammatica, tra i cui protagonisti ricordiamo Angela Finocchiaro e Francesco Salvi.
- Il sole dentro è un film che nasce da un fatto realmente accaduto, la tragedia di Yaguine e Fodé, coniugando l’impegno umano e sociale con la piacevolezza della narrazione. Com’è nato e si è sviluppato questo progetto cinematografico e artistico?
Il film nasce dalla lettura, da parte di mia moglie Paola, di un libro sull’Africa in cui si parlava di una lettera di due bambini africani, Yaguine e Fodé, “alle loro eccellenze signori d’Europa”. Le loro vite si erano perdute nel tentativo di portare un appello al Parlamento Europeo. Abbiamo fatto tante ricerche, e dopo un mese, nonostante si fosse perduta la memoria del loro gesto, abbiamo scoperto un filo che ci ha portato in Guinea, alle case dei loro genitori. Così abbiamo incontrato questa grande, terribile realtà: quella nascosta dietro la lettera in cui i ragazzi confessavano la loro sofferenza. Erano convinti che i “signori d’Europa” non conoscessero la condizioni della loro gente, e cercarono di raggiungere Bruxelles nel vano-carrello dell’aereo, resistendo per quattro ore, ma poi la temperatura si abbassò sotto lo zero, arrivando a -50 °C, a 10.000 m di altitudine, e iniziarono ad assiderarsi. Sarebbero stati ritrovati abbracciati, ormai morti. Noi abbiamo cercato di raccontare tutto questo, nel film. Loro erano certi di arrivare, forse risolvendo il destino di milioni di loro coetanei. Ma la loro lettera non ha mai avuto risposta. Questo ci ha sdegnato: il far finta di non aver saputo, l’ipocrisia dei politici, dei potenti, di chiunque avesse e abbia la possibilità di cambiare i destini di altri essere umani, ma non lo fa. Tutto questo mi provoca disprezzo. Così io e Paola abbiamo scavato nella vita di questi ragazzi, e siamo andati a conoscere le loro case, le loro famiglie. Oggi resta un solo genitore di entrambi. Nel villaggio non ci sono fogne, né acqua corrente, né energia elettrica, e dopo il tramonto è buio completo. Così io ho immaginato che loro andassero a scrivere la lettera nell’aeroporto di Conakry, l’unico punto illuminato. È lì che i ragazzi vanno, percorrendo anche 10 km, per potere studiare, assetati come sono di conoscenza.
Rocco e Thabo (da alvearecinema.com)
- Poi c’è la storia di Thabo e Rocco, che segue un itinerario inverso, perché vanno in Africa.
Sì, c’è il viaggio di questi due ragazzi, uno italiano, Rocco, e uno africano, Thabo, che partono dall’Italia per andare in Africa. Thabo è stato preso nella rete dei baby-calciatori, sedotti e ingannati dalla rete di cacciatori di talenti calcistici, che cercano nei villaggi del Sud del mondo, per poi prenderli, illuderli e portarli via, con l’aiuto dei loro parenti, che fanno debiti per aiutarli a partire. Uno su ventimila, dati ufficiali, arriva in Serie B o magari in A. Gli altri non vengono riportati a casa da questi “scafisti del calcio”, ma lasciati lungo il margine di un’autostrada o da qualche altra parte con una scusa pietosa. Rocco è un ragazzino di Bari con un famiglia in difficoltà, affidato a uno zio, mentre Thabo è uno di questi ragazzi abbandonati dal sistema-calcio: vanno insieme in Africa con la sola compagnia di un pallone.
- Quindi c’è anche un lato per cui il pallone, il gioco, è fonte di speranza?
Certo, se viene inteso come festa della vita, come divertimento, non come business. La stragrande maggioranza di quei ragazzi cade vittima proprio degli aspetti più degeneri di questo sistema. La vita è un miracolo, e non si può svilire così
- Ora ci sono anche iniziative di aiuto alle popolazioni di queste zone africane?
Sì, stanno nascendo delle cose. Nessuno, tra l’altro, voleva produrre questo film, così ce lo siamo autoprodotto. Da qui sono nate varie iniziative, tra cui il fatto che ci sono ragazzi che continuano a scrivere al Parlamento europeo. Schultz, Presidente del Parlamento, ha promesso che riceverà una loro delegazione tra la fine di febbraio e i primi di marzo, per rispondere idealmente a quell’appello. Quei giovani non vogliono essere ascoltati e basta. Pretendono risposte concrete. Ci sono due carte, quella dell’UNESCO sui diritti dell’uomo e quella dell’UNICEF sui diritti dell’infanzia. I ragazzi devono esigerne il rispetto. Far finta di niente è un crimine, perché significa provocare la morte di milioni di creature umane indifese. Ed è la loro voce che non viene mai ascoltata. Basta con questa ipocrisia, altrimenti la vita si estinguerà dal pianeta. Per questo incoraggiamo gemellaggi tra le università europee e i villaggi africani, dove i ragazzi chiedono di potere studiare. Abbiamo creato una fondazione con i genitori supersititi di Yaguin e Fodé, e abbiamo mandato laggiù dei pannelli fotovoltaici. Confidiamo di poter ricevere altri aiuti, per illuminare la loro scuola. A 12-13 anni dalla loro morte, il ministro dell’Educazione guineano l’ha intitolata a loro.
Paolo Bianchini sul set del film (da alvearecinema.com)
- Avete anche altri film in programmazione?
Stiamo cercando di realizzare un film dove facciamo debuttare un giovane regista di Tuscania, Federico Cuccari, che gestisce una piccola libreria: si chiamerà La cucina di mia madre. Poi un altro lavoro pensato da Luca Bianchini, mio figlio, anche lui regista, che ha scritto una storia sul quartiere romano del Quadraro, un vecchio angolo di passato, dove c’è un locale in cui si incontrano molti giovani artisti. Si chiamerà Granmà, cioè “Nonna” (dall’inglese Grandmother). Una volta, in quel locale, ho visto una signora che scendeva in vestaglia dalla casa di sopra per farsi preparare la cena, proprio come poteva succedere in passato. Poi c’è un altro film nato da un incontro con la più importante produzione cinese, avvenuto in occasione del Festival di Shangai nel mese di luglio, al quale abbiamo partecipato con Il sole dentro. Il film entrerà in produzione nel 2013 e attualmente è in fase di scrittura. Il titolo provvisorio è Backstage; la storia, che si ispira alla vita del monaco gesuita Matteo Ricci, racconta l’incontro, avvenuto nel ’500, tra due culture – quella cinese e quella italiana – attraverso l’amicizia tra Ricci e due mandarini cinesi.