Il sorpasso

Creato il 07 agosto 2015 da Jeanjacques

Parrebbe che il cinema italiano recente non se la passi benissimo. E' questo quello che sento dire spesso, ma è una cosa alla quale mi ostino a non credere fino in fondo. Certo, siamo pieni di commedie orribili, di drammi familiari che ormai non interessano più a nessuno e, ultimi ma non meno importanti, ora pure gli youtuber approdano sul grande schermo. E questo fa aumentare il mio odio verso YouTube. Però mi guardo intorno e vedo i film di Sorrentino, uno che tiene alto il buon nome del nostro cinema, oppure Matteo Garrone, che nonostante Lo cunto de li cunti non mi sia piaciuto, gli ho conferito una non indifferente voglia di osare. Però voglio rigirare la domanda: all'estero va così bene? Non è che le varie commediacce americane che spuntano fuori come il pane siano molto meglio, così come tutti quei blockbuster ormai tutti uguali (e parla uno che ha un profondo rispetto per i blockbuster)... semplicemente, all'estero c'è più offerta, quindi molto più pattume ma anche molta più qualità. E un pubblico più vario da accontentare, perché da noi i film italiani li si schifano un po' a prescindere e si va a parare quasi sempre sulle solite cerchie. Eppure un tempo il cinema era il nostro dominio, il meglio veniva dalle nostre fucine e sfornavamo dei veri e propri capolavori. Capolavori fatti con poco, ma con molta voglia di fare e tante idee. Un capolavoro come questo, che credo non mi stuferò mai di rivedere.

In un caldo ferragosto avviene l'incontro fra Bruno Cortona, trentaseienne nullafacente e fannullone, e Roberto Mariani, uno studente di giurisprudenza rimasto a casa per studiare. I due si imbarcheranno in un viaggio improvvisato che...

All'Accademia di sceneggiatura mi avevano insegnato che l'horror non è che lo specchio delle paure dei tempi in cui la storia è stata scritta. Ecco, cosa verissima, ma io credo che alla fine, ogni storia finisca per essere il riflesso di come un autore veda la propria vita o, stando il più ampi possibili, l'epoca in cui si trova costretto a passare i propri attimi si questo strano mondo. Questo concetto poi diventa di fondamentale importanza se si vuole prendere in analisi questo film, da molti definito come il capolavoro per eccellenza del prolifico Dino Risi, che l'ha sceneggiato con gli amici Ettore Scola e Ruggero Maccari. Ma è soprattutto un film che, come succedeva spesso con i titoli appartenenti al filone della commedia all'italiana, faceva perno sugli attori. Ed infatti è proprio Vittorio Gassman, sostituto di Alberto Sordi che all'epoca aveva un contratto d'esclusiva con Dino DeLaurentiis, che domina la scena, con la sua dialettica prorompente e i modi di fare spigliati, affiancato dal timido Jean-Louis Trintignant, che molti recentemente ricorderanno con qualche ruga in più nel bellissimo Amour di Michael Haneke, che in questa pellicola funge proprio da suo contraltare/contrario. Un po' come mettere insieme lo Ying e lo Yang, tanta è la differenza fra i due, e proprio su quello si basa la sceneggiatura del film. Differenze dettate anche dall'ambientazione e dal periodo storico, perché i ruggenti anni Sessanta italiani furono molto diversi da quelli più conosciuti americani. Per noi erano gli anni del benessere e del boom economico, di una nuova riscoperta della vita (alla quale influiva anche l'influenza americana, molto probabilmente) e, di conseguenza, di un nuovo modo di intendere anche le vacanze e il passatempo. Bruno e Roberto non sono altro che lo specchio di questa nuova società che andava a formarsi, il riflesso di un periodo che in mezzo a molti agi ha portato anche diverse situazioni di stallo, un po' come il classico tizio che ha successo da giovanissimo e finisce col montarsi la testa - una tale eccellenza di scrittura nella psiche dei personaggi è dovuta dal fatto che, secondo i voleri dei genitori, dopo la laurea in medicina Dino Risi sarebbe dovuto diventare psichiatra. Basta solo la scena iniziale per mostrare il contrasto fra i due, fra un Bruno Cortona che vuole fare proprio tutto il benessere e la voglia di vivere di quei tempi, accompagnata dalle note di Vianello e dei primi tormentoni musicali, e un Roberto Mariani che invece mira a un ideale di successo imposto dalla piccolo borghesia del periodo, che vedeva l'ottenimento del successo tramite lo studio e la privazione. Due mondi diversissimi che entrano in collisione e che faranno calare le maschere che ambo i personaggi indossano. Gassman, alla fine, nonostante le sue arie da uomo vissuto e la perenne voglia di ridere e scherzare, non ha combinato molto nella vita, anzi, la sua pare un'esistenza davvero poco invidiabile, mentre il personaggio di Trintignant, in barba ai suoi sacrifici e ai suoi studi, non possiede molte conoscenze di vita vissuta, perché alla fine la vita vera è fuori dai libri, per quanto questi possano aiutare in più di un'occasione. Ognuno è un po' repulso ma al contempo attratto dalla vita dell'altro, fino a che non si accorgeranno del vuoto che si cela in ambedue. Un vuoto da riempire, forse proprio con quel benessere (a iniziare dalla macchina, una Lancia Aurelia B24, all'epoca il prototipo del lusso e della raffinatezza) da cui l'intero paese si sente invaso e da quella bella vita effimera quanto evanescente che, nonostante le numerose soste, li riporterà sempre si quella strada. Ma d'altronde, forse è meglio correre almeno uno volta nella vita, piuttosto che rimpiangere di non averlo mai fatto durante la propria esistenza, magari più inquadrata e sicura, ma decisamente più noiosa. Attenzione, però: nel correre e nel superare/sorpassare tutte queste fasi, c'è il pericolo di andare fuori strada.

Una volta il cinema italiano andava davvero ai cento all'ora per trovar l'anima sua. Pellicole come questa ne sono decisamente la prova.Voto: 


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