Pubblicato verso la fine del 1846, a pochi mesi di distanza dal romanzo d’esordio Povera gente (che gli aveva fatto guadagnare un repentino successo di critica e di pubblico), Il sosia è un romanzo breve costruito sulla falsariga dei racconti fantastici di Gogol. Proprio per questa sua presunta mancanza d’originalità, ebbe un riscontro piuttosto tiepido e il più influente critico letterario russo del tempo, Belinskij, che pure aveva salutato Dostoevskij entusiasticamente solo pochi mesi prima come il nuovo Gogol, stroncò il romanzo.
Effettivamente, Il sosia parrebbe, a prima vista, l’opera di un giovane ancora insicuro incamminatosi sui sentieri già battuti dal maestro. In realtà, mentre intesse la sua trama gogoliana, Dostoevskij dissemina indizi destabilizzanti che finiscono col rovesciare la trama stessa: il fantastico cede il passo al patologico. Ancor prima di incontrare il suo sosia, Goljadkin, il piccolo burocrate protagonista del romanzo, pensa bene di segnare nell’incertezza la storia. Eccolo aprire il sipario in un dormiveglia che sembra una lotta titanica tra conscio e inconscio; eccolo prepararsi per un ricevimento dato dal padre della sua amata Klara, al quale ritiene di essere invitato e dal quale invece viene prima respinto all’ingresso e, dopo essersi introdotto furtivamente, cacciato definitivamente di malo modo.
A questo punto, con l’animo prostrato dall’umiliazione, avviene l’incontro fatale: sotto un’abbondante nevicata, nei pressi di un canale della Neva, il fiume di San Pietroburgo, Goljadkin incontra il suo sosia. Sconcertato dall’apparizione, il piccolo burocrate cerca di scappare e di rifugiarsi in casa, ma il sosia lo segue come un’ombra. Il mattino dopo, recatosi al lavoro, trova il suo doppio seduto di fronte a lui. Questo Goljadkin II è l’efficienza e il savoir faire in persona, in confronto al quale l’originale mostra tutte la sua mediocrità. Il sosia usurpa nel giro di pochi giorni lo status sociale di Goljadkin, il quale tenta prima di trovare un compromesso col suo doppio, per poi arrivare a sfidarlo a duello. Una presunta lettera inviatagli da Klara pare aprire uno spiraglio per Goljadkin, ma una volta arrivato al palazzo dell’amata, il povero burocrate desta l’imbarazzo dei presenti per il suo stato di degrado psichico e viene preso in carico dal suo dottore curante, Rutenspic, il quale lo fa salire a forza in una carrozza per poi internarlo in manicomio.
L’ascendenza gogoliana è tutta nel piano di lettura più superficiale de Il sosia: il sè o una parte di esso che si fa altro e assume una posizione di forte antagonismo nei confronti del protagonista. Ma mentre Gogol, attraverso il fantastico, vuole rappresentare simbolicamente il rapporto tra essere e apparire, Dostoevskij va ben oltre, riportando il fantastico al reale, dunque non più materializzazione di un universo simbolico da interpretare, ma proiezione di un disagio reale che, in definitiva, esiste solo nella patologia schizofrenica del protagonista.