Il sospetto di Friedrich Dürrenmatt

Creato il 20 gennaio 2012 da Spaceoddity
Pochi autori godono della fama di Friedrich Dürrenmatt tra i laureati in Lettere: sorge il sospetto cheracconti come La morte di Socrate, Romolo il Grande, Minotauro o La morte della Pizia siano, più che piacere della lettura o sguardo sul risvolto di fertili temi classici nelle vorticose fauci della letteratura novecentesca, un imperativo morale. E certo Dürrenmatt, lirico e cerebrale, non è scrittore facile, anche quando volge la sua teoria del'inutile ricerca della verità al popolare genere del poliziesco. I ragionamenti dei suoi eroi sono minati dal mancato riscontro nella realtà, ovvero direi che il ragionare è compromesso dall'accadere (o dal non accadere) di qualcosa, per cui non può essere verificato (come vediamo nella già citata La morte della Pizia o in La promessa).
Anche per chi, come me, lo ama e lo sente suo, l'esito è una trama che si smaglia in un filosofare vano e dall'apparenza farneticante, sebbene sorretto dalle più agguerrite armi della logica (o chissà, forse proprio per questo). Il dissertare non incontra la verità, neanche quando si sporca le mani e l'anima con il reale e con l'uomo che lo plasma e fallisce. Il commissario Bärlach, protagonista de Il sospetto (tit. or. Der Verdacht, 1953), lo sa bene, se riassume il suo operato in una formula disarmante quant'altre mai: Vedrai, la nostra arte è un misto di matematica e di fantasia. Il vecchio, degente in clinica per una gravissima malattia, sta parlando con il suo medico a proposito dell'ipotesi che Nehle, un feroce chirurgo delle SS, ritratto in una foto su "Life" mentre opera un malato senza narcosi, sia ancora vivo, nonostante il certificato di morte. Di più: che lavori sotto falso nome con gli stessi metodi proprio nella sua Svizzera, protetto da una cortina di omertà.
Per quanto il Dr. Hungertobel provi a dissuadereil commissario da questa folle ricerca, l'orrore nel vedere quella foto sulla rivista si è inciso in lui con una forza che non sa combattere: è la certezza di conoscere l'identità di quel folle collega a farlo rabbrividire e non c'è intervento che possa liberarlo dal suo sospetto. A dire il verol'impaziente Bärlach, non solo non fornisce nessun antidoto, ma intraprende un ragionamento non meno chirurgico di quello che ci si potrebbe attendere dal suo medico, nel più consueto stile di Dürrenmatt. Sul tavolo operatorio della sua mente stende un'analisi dove tutto è bilanciato e calcolato con la prodezza del chimico. Ma sulla carta i reagenti non esplodono, sarà solo l'esperienza a produrre il risultato tanto atteso. Il sospetto mette in campo gli argomenti sul tema della sofferenza immediata, dell'atroce e bruciante, dell'insopportabile dolore fisico e delle sue catene con la miseria umana. Si può dire di no alla crudeltà e al sadismo umano?
Ho studiato e ho lavorato in nome del mio no.
dice a Bärlach una dottoressa che ben conosce il boia; e la sua risposta è no, che non si può resistere al desiderio del dolore, soprattutto quando il desiderio e il dolore sono quelli propri. Quanto al carnefice, non lo si può neanche incolpare o solo disapprovare (in ted. verdenken, da cui appunto Verdacht). E continua:
Egli affonda la lama nel punto in cui siamo deboli: nella coscienza mortale della nostra dannazione eterna.
Brevissimo romanzo colmo di arguto discettare sulla fede, ovvero sull'incontro drammatico dei credi, Il sospetto è retto da una trama letteraria rapinosa, molto solida e stratificata, nella quale trova spazio anche Gulliver con i suoi viaggi nell'informe della realtà sperimentata. Non riesco seguire Friedrich Dürrenmatt fino in fondo al suo gorgo dove la pazzia si verifica a dispetto del suo calibratissimo bilancino filosofico: nei suoi libri, e ne Il sospetto in particolare, il mio spirito scettico e analitico fa capolino e spiazza l'anima tragica. E lo so, non ho dubbi, capisco l'oscuro chirurgo, il Signore della sofferenza e del sadismo, ma apprezzo ancor più Bärlach quando si identifica nell'eroe di Cervantes:
Tutti dobbiamo essere dei don Chisciotte, se appena abbiamo un briciolo di cuore e un po' di cervelllo nella zucca. Ma non dobbiamo combattere contro i mulini a vento come quel povero diavolo di cavaliere con la sua corazza di latta, amico mio, oggi si tratta di combattere contro mostri giganteschi, ora sono mostri di brutalità e di scaltrezza, ora contro veri e propri vampiri, gente che ha sempre avuto il cervello di una gallina: belve che non stanno soltanto nei libri di favole o nell nostra fantasia, bensì nella realtà. [...] Ma un vero don Chisciotte è fiero della sua corazza di latta. La lotta contro la stupidità e contro l'egoismo degli uomini è sempre stata difficile e rischiosa, è sempre stata legata alla povertà e all'umiliazione; ma è una lotta sacra e non la si deve condurre a furia di lamentele, ma con dignità.

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