Il Sud è una Fabbrica di Talenti

Creato il 06 gennaio 2013 da Tabulerase

Il meridione come fabbrica di talenti: ne parla il giovane avvocato e giornalista cilentano, Vito Rizzo, nel suo ultimo libro dal titolo appunto “La Fabbrica del Talento”.

Che al Sud si fabbrichino Talenti- con la T maiuscola- da esportazione è un dato assodato e confermato dai dati statistici. Il suo approccio alla questione ha un aspetto originale: quello di soffermarsi sulla predisposizione, indotta dal contesto ambientale, dei talenti meridionali ad affrontare le difficoltà.  I meridionali sono più bravi perché hanno più problemi?

La mia, naturalmente, è una provocazione che vuole sfatare lo stereotipo che descrive il meridionale quasi come una “razza inferiore”. La verità, invece, è che i giovani meridionali hanno grandi capacità e queste capacità sono messe a dura prova quotidianamente proprio per i disagi che troppo spesso comprimono i talenti con una omologazione al ribasso che è l’humus nel quale trovano spazio i piccoli favori per “sopravvivere” e le clientele diffuse. Non penso sia un caso che i giovani meridionali quando si trovano ad operare in contesti più aperti, anche se ipercompetitivi, mostrano di avere una marcia in più.

Nel meridione sono arrivati e arriveranno ingenti risorse “europee” rimaste inutilizzate per l’incapacità degli amministratori locali a vario livello. L’esodo dei Talenti, non pensa che abbia inciso in modo determinante nella dispersione dei fondi?

Direi piuttosto che la dispersione dei fondi ha acuito l’esodo dei talenti. Anche qui la politica regionale e locale ha grosse responsabilità. Anziché “fare sistema” e sviluppare idee forti, si è spesso preferito usare i fondi europei per alimentare la rete clientelare del consenso con un patto “mafioso” tra società di consulenza e politici, con le prime che in cambio della “sponsorizzazione” istituzionale ai propri progetti hanno lasciato che la fase esecutiva fosse appannaggio delle segnalazioni dei referenti politici di turno, troppo spesso premianti più i “clientes” che non i “talenti”.

Nel suo libro lei racconta le storie di ragazzi del sud che hanno fatto fruttare il proprio talento “altrove”: per i giovani meridionali ci vuole più coraggio a restare o ad andar via?

Francamente non lo so. C’è chi ha interpretato l’andare via come una “rivoluzione personale”, chi come una necessità per fare il proprio lavoro al meglio, chi si ostina a restare non rassegnandosi alle dinamiche distorte che spesso deve affrontare. Restare o partire a volte può dipendere anche solo dalle circostanze, l’importante è non decidere di restare anche a costo di sacrificare il proprio talento; se poi si riesce a far valere il proprio talento anche al Sud, tanto meglio, per chi resta e per il nostro territorio.

L’esodo dei Talenti ha un costo rilevante, economico e umano. Ha una sua idea su come sarà possibile in futuro arrestare questa drammatica erosione o ritiene che essa possa risultare funzionale alla crescita del sud?

Nel mio libro ho voluto lanciare un messaggio non di rassegnazione ma di speranza. Acquisire la consapevolezza delle proprie capacità è il primo passo, il secondo è quello di sviluppare nel Mezzogiorno un autonomo tessuto imprenditoriale che, sulla base delle dinamiche della nuova “economia creativa” descritta da Richard Florida, riesca a fare del Sud un “polo attrattivo” mondiale. Fino ad oggi ciò non è accaduto per due motivi: il primo perché i “centri decisionali” non hanno voluto sviluppare una politica industriale “autonoma” preferendo che il Sud restasse una “colonia interna” da depredare per garantire la tenuta industriale del Nord del Paese, il secondo è la presenza del “secondo Stato”, la criminalità organizzata, le cui dinamiche sono sempre più invasive tanto nel campo dell’economia “pulita” quanto in quella del potere politico. Ne consegue che soltanto se la lotta per la legalità diventerà per i cittadini meridionali la vera “priorità”, allora sarà possibile sovvertire le dinamiche cui siamo sottoposti da decenni, sfruttando le opportunità della fluidità dell’economia globale. Per fare questo serve la forza di tutti, dei talenti che sono rimasti a “presidiare” il territorio e dei talenti emigrati che, forti delle esperienze maturate altrove, potrebbero reinvestirle per rilanciare la propria terra.


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