La sentenza di primo grado è completamente dentro questo paradigma e completamente fuori dalla logica dal momento che Cucchi prima si sarebbe ammazzato di botte da se stesso e poi la sua salvezza sarebbe stata trascurata da medici, infermieri e guardie carcerarie: una storia senza senso che tuttavia non è altro che il riflesso dell’insensatezza di una società avvitata su se stessa e dove corporazioni, clan, bande la fanno da padrone in mancanza di qualsiasi cognizione di speranza e solidarietà, una società che vive dentro un egoismo miserabile e suicida. Un uomo è stato pestato a morte, i colpevoli sono noti e persino alla sbarra, ma nessuno si farà un solo giorno di galera: chi è mai Stefano Cucchi per pretendere giustizia?
Ma bisogna andare oltre: chi è mai un cittadino per pretendere giustizia, per non essere presto a pugni e calci se si presenta l’occasione, per essere curato e infine per avere una sentenza che non sia un mercato delle vacche tra poteri? Chi è un cittadino per avere dignità anche se non ha amicizie che contano, soldi, contatti, corporazioni che intervengono a suo favore? E’ proprio nessuno, anzi nemmeno è un cittadino, è un suddito che non può permettersi errori e deve subire quelli degli altri.
Così siamo ridotti, ma molti ci si accomodano facilmente, visto che hanno incontrato la parola dignità solo su qualche antologia delle scuole medie e vivono bene nei ventri di vacca. Se ci scandalizziamo del processo dobbiamo scandalizzarci della politica, dei media, dell’iniquità, del sadismo e della noncuranza che viene espressa da ogni parte. Dovremmo anche scandalizzarci per chi vota Giovanardi. Ma tutto questo ce lo siamo proprio voluto.