Il suono della voce | il nuovo album di tosca

Creato il 04 dicembre 2014 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

IL SUONO DELLA VOCE | IL NUOVO ALBUM DI TOSCA

di Giancarlo Zaffaroni

Molti sono i confini intrecciati con sapienza ed emozione da Tosca nel suo ultimo lavoro, Il suono della voce, stato dell’arte di un’intensa attività musicale e teatrale. Brani cercati, scelti e ricreati con curiosità e cura artigianale, un viaggio nell’immenso patrimonio della forma musicale della canzone. La bella voce sola apre il disco, Gelosamente mia voce è una dichiarazione d’intenti. Viene spontaneo pensare che siamo fortunati che la nostra parte di universo sia sonora, che gli uomini usino i suoni per lingua, che parole e suoni possano accordarsi nel canto. Un accordo sospeso e arpeggi di chitarra introducono Marzo / Mars, in bilico fra napoletano e francese, ritmo oscillante ternario che accomuna i primi tre brani. Dalla prigione di Nongqongqo bastano le parole Africa e Mandela a definire un bisogno di libertà e giustizia che ogni musica autentica porta con sé. Nina è il primo duetto, i legami col mondo sono amici che cantano con noi. Il portoghese di Giunga si unisce al romano, il violoncello canta la melodia riunendo le due voci nel finale. Quattro interludi musicali interrompono le canzoni, silenzio delle parole che mostra l’eloquenza della musica. Rielaborano i temi della canzone che chiude il disco, formando una memoria sonora che ce la farà riconoscere.

Il primo interludio è affidato alla famiglia dei mandolini. Via Etnea rappresenta ogni Sud isolano, i dittonghi e lo strano suono delle consonanti vicine generano una musica sinuosa e femminile, le immagini si formano attorno a parole desuete, a un sospiro ascendente che è un leitmotiv completato dalla fisarmonica. Ritorna la voce sola delle parole yiddish del Train de vie, accenno alla tragedia assoluta. Così il violino che segue sembra klezmer, invece è Rumania Rumania, indiavolata e teatrale, che ricorda la toccante scena del film dove musicisti ebrei e zingari s’incontrano con la musica, liberi e uguali per un momento. Le parole diventano onomatopea, la processione del santo diventa una festa con inaspettato finale italiano. A mesma musica è suonata in tutti i porti del mondo, il mare collega popoli e culture trasportando suoni in italiano e portoghese, i mandolini evocano il mare di Mergellina e la luna. Il secondo interludio è del clarinetto, con un suono profondo che prima attrae la melodia che poco a poco si libra in alto. L’Annunciazione di Ivano Fossati è accompagnata dalla chitarra di Guinga, il testo si dipana con naturalezza tra armonie non banali. Il saggio clarinetto commenta e s’intreccia alla voce, eco dell’amore invocato. Miagete Goran Yoru No Hoshi Wo mostra che la dolcezza della musica basta al suono delle parole per ottenere la bellezza del senso, anche se non capiamo il giapponese. Cicale e chimere con Joe Barbieri dice che si può stare insieme (o separarsi?) liberi e con ironia, pieni di speranza di giorni lieti nell’unione di voci e musica. La chitarra accenna il terzo interludio che introduce Ti guarderò nel cuor, canzone che tutti ricordiamo senza sapere che fu colonna sonora del film Mondo cane (1962) diventata uno standard. L’arrangiamento antiretorico aggiunge dolcezza al bel testo italiano. Sorprende ritrovare il Prisencolinensinainciusol di Celentano con splendidi arrangiamenti anni ’30 delle voci, esercizio di stile riuscito dove l’interpretazione è davvero ricreazione. Il quarto interludio del violoncello ha un sapore bachiano, accenno alla musica colta. In Dieses mein Herz il piano accompagna parole napoletane e tedesche, la musica s’arricchisce di strumenti e voci in una polifonia che ricorda il canto popolare e la musica rinascimentale. Il vibrafono è il solo compagno delle parole libanesi di Succar ya banat in un’atmosfera sospesa con armonie sostenute dalle voci. Nel testo di Khaled Mouzanar una brezza gentile guida nel traffico belle ragazze verso i loro innamorati.

Infine Il suono della voce, origine e perimetro che raccoglie sentimenti e suoni del mondo. Tosca racconta che è stata la forza attrattiva di questa canzone di Ivano Fossati a orientare le scelte componendole in un organismo coerente. Questa canzone è un inno alla vita, lo “spero di non perderti mai” più volte ripetuto può riferirsi all’amato, a ogni genere di affetto, alla musica, agli aspetti positivi della vita, rispetto, bellezza. L’unità di stile è incredibile nonostante la varietà di musiche, lingue, provenienze; mostra una personalità straordinaria e un lavoro profondo con autori e musicisti, con l’uso di suoni naturali e strumenti tradizionali senza simulazioni tecnologiche. Autori e musicisti troppo numerosi per essere citati in dettaglio, tutti bravissimi, arricchiscono il lavoro intelligente di questa donna e artista straordinaria.

 Giancarlo Zaffaroni

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