In alcuni sport in particolare più che altri, il talento si vede prestissimo e già in giovane età ci sono atleti sbalzati in campo ai massimi livelli, super pagati e super coccolati.
Arrivare a giocare ai massimi livelli e rimanerci per anni credo tuttavia siano due cose ben diverse.
Recentemente Balotelli ha collezionato la sua quarta espulsione in carriera, questa volta a spese del Manchester. Purtroppo le sue bravate dentro e fuori dal campo fanno di lui uno dei giocatori più contestati del panorama calcistico e anche il Ct Mancini che lo ha voluto e difeso ora è in difficoltà nei confronti di squadra e società. Nonostante il suo grande talento Balotelli è stato escluso diverse volte dalla nazionale.
Credo che nel panorama sportivo mondiale ci siano tanti atleti di grande talento, ma non tutti diventano i numeri uno, sia negli sport individuali che di squadra. Alcuni dicono che è una questione di testa, altri di atteggiamento e altri ancora di educazione ma tutti notano che qualcosa non va.
Le “teste calde” e i giocatori “genio e sregolatezza” ci sono in tutti gli sport ma credo che la maggior parte degli esempi venga proprio da quegli ambienti dove essere ai massimi livelli significa avere una disponibilità economica considerevole e potersi concedere il lusso in ogni cosa.
Rimanere ai massimi livelli, facendo emergere il talento senza lasciarsi condizionare e trascinare dall’ambiente, credo sia davvero difficile, soprattutto a vent’anni e i grandi campioni si riconoscono anche da questo.
Come si riconosce un campione da un atleta? E cosa fa il Personal Coach?
Io credo davvero che certi ambienti siano “difficili” ma in generale, ai massimi livelli di ogni sport il campione è in qualche modo sotto ai riflettori e la parte “commerciale” di ogni disciplina sportiva fa si che nella agenda di ogni giocatore ci siano appuntamenti promozionali e di immagine, anche questi ben retribuiti. Il segreto forse sta nella giusta misura delle cose e nella grande dedizione con cui i campioni vanno ad allenarsi. Sicuramente sta nell’atteggiamento mentale e nello loro grandissima capacità di fare ciò che occorre per essere i numeri uno.
I grandi campioni hanno allenato la mente ad essere super focalizzata su quello che stanno facendo, su ogni dettaglio dell’allenamento e su ogni miglioramento che possono apportare.
La vita dei grandi campioni è scintillante sotto i riflettori ma piena di sacrifici dietro alle quinte e non credo che tutti siano disposti a pagarne il prezzo.
I più grandi campioni dalla storia sono stati prima di tutto campioni loro nella vita e hanno dimostrato di essere in grado di andare oltre a tutto ciò che rappresenta l’ambiente intorno a loro.
Sono stati in grado di rispettare le regole e in qualche modo sono stati in grado di plasmare l’ambiente intorno a loro per creare le circostanze migliori alla loro crescita.
In qualità di atleta prima e di personal coach ora ho conosciuto tanti talenti che non sono emersi e in alcuni caso hanno anche abbandonato l’attività sportiva.
Non voglio giustificare chi non sta alle regole e chi, soprattutto negli sport di squadra, gioca per sé e non per il gruppo, credo però che parte di ciò sia conseguenza diretta delle pressioni che oggi, chi ha talento da giovane, subisce da parte di genitori, società, allenatori, amici e ambiente in generale.
Mi piace ancora pensare che lo sport sia divertimento, dedizione, una attitudine alla competizione sana e una scuola di vita piuttosto che un business sia per le società che per gli atleti.
Quando mi trovo a parlare con genitori che chiedono coaching personalizzate per i figli mi soffermo sempre sulla reale motivazione che li spinge perché spesso sui figli si riversano i sogni mancati dei genitori.
Oggi i giovani atleti di alto livello sono trattati con i guanti, si è rovesciato completamente il rapporto di autorità tra società e allenatori e tra allenatori e giocatori e spesso un solo giocatore ha il potere di spostare gli equilibri di un’intera società.
Credo che in questo senso lo sport sia cambiato molto e forse i giovani avrebbero bisogno di fiducia da una parte ma di più autorità dall’altra. Credo che questa sarebbe la chiave per coltivare più campioni rispetto che semplicemente talenti.
A questo proposito condivido molto le idee di Julio Velasco, guarda questo video in cui parla degli anni d’oro della nazionale maschile italiana:
Il messaggio che mi piace dare, da personal coach, è quello di allenare la mente a ricercare quella parte più emozionale e più legata al divertimento, allo spirito di squadra, al sacrificio e concentrarsi su allenare quello che in tutti gli sport fa la differenza: dare tutto sé stessi invece di fare solo il compitino.
Mi piace aiutare gli atleti a ricercare la vera motivazione che li ha spinti ad iniziare a giocare e che a volte si perde nei mille stimoli esterni dell’ambiente, delle vittorie e dell’essere spesso sotto i riflettori.
Di Sara Gatti