Il tassista pakistano

Creato il 13 gennaio 2012 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Scontenti cronici non vogliamo vedere dietro al nostro livoroso pregiudizio, il mondo vario e sorprendente che ci aspetta. Un domani il benzinaio potrà erogarci insieme al diesel anche l’oki e il viks vaporub: inquinare e curare. Un notaio ci accompagnerà a casa con un tassametro per la corsa e uno per la lettura degli atti. Il farmacista ci aprirà l’ombrellone equipaggiandoci anche con la protezione solare. E il bagnino potrà stare da Gucci, aperto notte e dì, seppur vuoto in assenza di compratori. I tassisti no, saranno probabilmente pakistani e faranno i tassisti come a New York. E’ la globalizzazione bellezze e si sa che finchè era a era un mestiere relativamente redditizio era riservatobe esclusivo si aprirà magicamente ai sommersi e agli ultimi arrivati.
Nel processo dalle liberalizzazioni all’uso improprio finirà che vorremo anche dee jay che presentano porta a porta, soubrette in consiglio regionale e bancari al governo. Ah no, quello è già successo.

E d’altra parte come dicevano gli “Amici miei”, tu vuoi rinunciare alle pompe? Anche la sinistra moderna e democratica ha ritenuto di interpretare libere preferenze espresse dai cittadini in foggia di consumatori: tanto l’importante è che spendano il più possibile, che lavorino di più per procurarsi il denaro necessario, che diano fondo ai loro risparmi, che si indebitino per le magnifiche sorti e progressive del mercato. Il “consumatore imperfetto” è il cittadino traditore, colui che fa andare a rotoli l’economia e che mette a rischio la coesione e anche l’unità del Paese e dell’europa. Gli deve piacere fare benzina alla pompa nel piazzale del centro commerciale, risparmiando quei centesimi che poi spenderà per percorrere i chilometri che lo riportano a casa, dopo aver speso nel supermercato, noleggiato cd, sognato i pod. Ma per comprare e vendere sempre di più occorre produrre sempre di più. In un’economia globalizzata e liberalizzata la concorrenza tra imprese e aree economiche è selvaggia, vince chi fa prezzi più bassi, mentre una avido e disperato esercito di riserva preme sui cancelli degli opifici del mondo in Asia, Sud America, Sud Africa . dieci, vent’anni. Mentre da noi diminuisce il potere d’acquisto, i salari sono bassi e stabili da anni, non si produce. E il profitto le imprese l’hanno realizzato inquinando, risparmiando in sicurezza, investendo nel gioco d’azzardo della finanza.

Sono ottusa e continuo a non capire il rapporto di azione- effetto che esisterebbe tra deregulation, che di questo si tratta, e crescita soprattutto in una fase di coatta austerità.
Perfino Obama ha detto, tra un po’ perfino Tremonti dirà che invece sarebbe necessario riconvertire le basi produttive economiche orientandole non alla competizione globale, ma ai bisogni genuini delle popolazioni. Fare quel che serve con ciò che si ha a disposizione, con l’impiego razionale dell’ingegno e della scienza e dando come priorità dell’azione di politica economica la creazione di opportunità di lavoro. Contrastando il primo scandaloso spreco, quello di milioni di giovani inattivi a fronte di istanze sociali di tutti i tipi: cura delle persone, preservazione del territorio, recupero immobiliare e del patrimonio culturale.
E invece perfino tra i 28 articoli del progetto di legge su concorrenza, sconti, privatizzazioni, categorie professionali fa capolino la dismissione dell’articolo 18, una vera ossessione che fa sospettare che dietro alle liberalizzazione ci sia l’ostinato disegno padronale di sempre, la deregolamentazione selvaggia delle relazioni industriali.

Ma anche così non fosse, l’inclinazione manifesta a ledere i principi di interesse generale c’è: il decreto legge n. 138/3011 votato in una situazione di asserita emergenza, in contrasto con l’esito referendario del 12 e 13 giugno 2011, ha ripristinato meccanismi concorrenziali e logiche di mercato per l’affidamento dei servizi pubblici locali. Ma nel segno della continuità l’attuale governo ha anticipato che nella fase due della sua azione, quella della “crescita”, vuole estendere l’area di azione delle privatizzazioni forzate anche al settore all’acqua.
Il legislatore per tutte le stagioni ha messo la basi di un definitivo sbilanciamento dell’assetto delle gestioni a favore del privato, contribuendo alla svalutazione dei beni un tempo comuni idonea a determinare il crollo del loro prezzo ora e una aumento di quello dei servizi poi.

I dati sugli effetti delle privatizzazioni/liberalizzazioni (e c’è poco da fare differenze tra i due termini), altrove da qui, parlano chiaro: aumento delle tariffe; riduzione degli investimenti anche sulla qualità e la sicurezza, aumenti indiretti sugli emolumenti del manager e sulle misure per rafforzare la concorrenza.
È meglio non farsi incantare dal mantra neo liberista: meno stato più mercato, laddove l’eclissi della sovranità ha concesso l’egemonia al potere più rapace quello della finanza immateriale e del profitto avido, stritolando i beni comuni con la macchina imperiosa dell’egoismo, del saccheggio, del personalismo, del disprezzo per il lavoro, l’ingegno, il sapere, i diritti.


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