Durante le due ore di concerto il pubblico ha partecipato attivamente all’esperienza. Il live è iniziato intorno alle undici di sera, la gente si è disposta tra il palco e gli alberi, tra le note fluttuanti e i profumi delle piante di primavera. Il concerto per i presenti è stato intensamente vissuto, come del resto accade in tutti i live del Teatro. La concezione di concerto per questa band è una connotazione di primaria importanza per il loro progetto musicale. «I concerti rock sono come fare all’amore, siamo in due» dice Pierpaolo prima di eseguire il bis, acclamato dai ragazzi che da sotto il palco gli fanno cenno di tuffarsi su di loro, pronti a sorreggerlo tra le mani. A fine concerto il cantante si lancia davvero, e l’affettività condensata tocca il suo apice. Tra le numerose teste, le mani, i sorrisi, le urla, si adempie qualcosa. La collettività e la condivisione ne sono condizioni indiscusse. Tra i numerosi brani suonati ripropongono Compagna Teresa, eseguita anche il primo maggio. La canzone parla di un amore partigiano, di una donna partigiana morta per la libertà. Il cantante prima di ogni pezzo intrattiene, divaga sui testi, parla di sensazioni, opinioni. Fa riferimento alle ingiustizie che colpiscono il nostro paese, alle ingiustizie che colpiscono i più deboli, alle morti bianche, alla xenofobia.
Le sue parole inducono a riflettere. Inducono a soffermarsi sul nostro tempo, sui devastanti mutamenti dello stato civile. La band è decisamente impegnata nel sociale. I temi sono forti, i modi colti, l’impegno radicale. Possente è il pàthos trasmesso con parole e musica. La figura di Pierpaolo è centrale, trascina oltre l’esibizione. Il teatro a cui fa riferimento il nome del gruppo è il Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud, che per crudeltà intendeva lucida coscienza. Si assiste a qualcosa che va al di là di un concerto rock. Il canale di comunicazione diventa estremamente coinvolgente. Ognuno degli spettatori vive pienamente un’esperienza collettiva, ed è toccato distintamente nel proprio intimo, nella propria percezione soggettiva. Lo sguardo di Pierpaolo cerca gli sguardi tra la folla, vede i fan, la comunione è sincera. Si cerca un contatto autentico con l’altro, col pubblico. Io cerco te, singolo dell’ultimo album ne racchiude il senso. Quel “cerco te” è rivolto non solo a chi ascolta da un pezzo, ma anche a chi è distratto e si distrae nella confusione.
In alcune interviste Pierpaolo dice che il progetto del Teatro è ambizioso. «La nostra musica non intrattiene, non è musica da intrattenimento, deve far riflettere, deve far pensare chi ascolta». Il pubblico è attivo e reattivo. È partecipe. Il concerto rock si innalza di qualità. Tra gli altri brani eseguiti compare È colpa mia. Tutti i ragazzi l’hanno intonata e urlata all’unisono. È stato come mettere a nudo una condanna, la condanna che contraddistingue i nostri tempi, i nostri giorni. La bellezza era condividerla, averne la coscienza. Stare insieme in quella lucida coscienza. Le tematiche affrontate nei pezzi non sono di facile approccio. Spesso la provocazione è lacerante. Molte canzoni svuotano e smontano concetti precostituiti che appartengono al senso comune del quieto vivere. Ma per Il Teatro degli Orrori, la musica, così come ogni altra forma d’arte, deve essere necessariamente politica. «L’arte è lo scalpello dei tempi, non è lo specchio» dice Pierpaolo in più occasioni. Dovere dell’arte è quello di denunciare le aberrazioni e mostrare nuove vie. Ed è bene sottolineare che per politica non si intende militanza, ma impegno onesto. Il concerto ha segnato il pubblico. I ragazzi che ne hanno preso parte lo raccontano con grande ardore. In tempi di profonda crisi come quelli che viviamo, la fame di comprendere e di riunirsi per comprendere ancora meglio, sta diventando una necessità. Ancora oggi il bisogno di ritrovarsi, di svegliarsi, di lottare insieme con le note e le speranze è la manifestazione più profonda dell’esistenza, e della resistenza.
Le fotografie inserite nell’articolo sono di Graziana Garofalo