Lasciate che vi racconti una bella storia. Una storia vera. Eccomi seduta sul palcoscenico del Teatro della Concordia, il più piccolo al mondo, incastonato come un gioiello in un borgo, uno dei tanti, dei colli umbri, Monte Castello di Vibio. Desideravo da tempo vederlo di persona, mossa dalla mia passione per il teatro ma anche dalla curiosità di vedere come si possa concepire un teatro classico di queste dimensioni. Ebbene, ciò che il talento umano può desiderare può essere realizzato e farsi vivo dinanzi agli occhi. L'esperienza è una di quelle belle sul serio, singolari, che non si dimenticano. C'è da dire anche che questo gioiello si ama ancora di più se ne si conosce la storia. Chi infatti può avere concepito questo ritrovo affascinante su un colle, fra piccole case attorno a un grande maniero, se non la passione umana per l'arte, il desiderio di prestigio, la volontà di rendere una comunità partecipe di un progetto unico al mondo?
Parte del plafone
Ed è proprio così che nasce il Teatro della Concordia, il cui nome è legato - udite udite - anche alla concordia tra le famiglie nobili del luogo nella ferma promessa di fare a turno a occupare il palchetto centrale, più ampio e comodo. La sua costruzione risale agli anni di occupazione napoleonica in Italia, nel momento in cui Monte Castello diventa cantone, ovvero luogo principe per l'amministrazione dei comuni limitrofi. In questa posizione di egemonia politica la comunità montecastellese pensò di munirsi di un luogo di incontro e svago che vide nel teatro la sua forma per eccellenza. Sono gli anni fra il 1808 e il 1809. Il teatro è in stile "goldoniano" ed è un vero gioiello architettonico, tutto all'interno di quel fervore ideologico di fine Settecento, che sarebbe esploso di lì a poco nel Romanticismo.
Di fatto, chi progettò il teatro? Si tratta di un gruppo di borghesi colti e di classe agiata che impiegò propri capitali, e a fondo perduto, per realizzare l'opera, spinti dal legame con il proprio comune e dalla passione per l'arte. Dopo la costruzione, la sua decorazione fu attentamente realizzata da Cesare Agretti, che completò il fondale nel 1859 ricorrendo al simbolo delle mani che si stringono a confermare l'idea di concordia alla base della fabbrica tutta. Non sfugga che siamo in epoca risorgimentale e che il completamento del teatro si attua in quell'atmosfera fervida di riscatto sociale, di libero pensiero. Non ci sono documenti che attestino il programma di spettacoli che vi furono rappresentati nei primi decenni dopo il completamento, mentre si hanno notizie di restauri delle decorazioni, che si attuarono a fine Ottocento e che abbellirono ulteriormente il teatro, alcune delle quali ammiriamo oggi.
Il teatro nel 1974, dopo il crollo del plafone
C'è però, come in tutte le storie italiane, il periodo buio, di abbandono e degrado, e neanche il Teatro della Concordia ne fu risparmiato. Addirittura si arrivò a un decreto di inagibilità nel 1951, perché di fatto la struttura, priva da decenni di interventi di manutenzione, era deteriorata e pericolante. La società fondatrice era solo un ricordo, nessuno aveva impiegato più denari per il mantenimento del bene e nonostante rimedi alla buona come l'affitto del teatro a società che lo adoperavano per proiezioni di film, si dovette ricorrere a prestiti per lavori immediati. Ma i debiti crebbero esponenzialmente, il passivo era ormai esorbitante e non restò che affittare il piccolo teatro a un commerciante che lo usò come deposito di mobili (!) Il piccolo Concordia era ormai perduto, ormai "teatro" solo nel nome, sottoposto al completo abbandono. Quando la struttura cominciò a crollare e preoccupare seriamente anche gli abitanti delle case limitrofe, questo caso divenne nazionale, finalmente. A metà anni Settanta, il sindaco indisse una sottoscrizione popolare, con la quale raccogliere fondi per il recupero, e i cittadini risposero favorevolmente. Seguiranno anni in cui la buona volontà e la tenacia faranno il resto.
Sarebbe stato inconcepibile sapere questo gioiello perduto per sempre. Il valore del teatro è innegabile e in questo piccolo luogo palpita in tutta la sua forza. Il teatro deve esserci, deve esistere perché continui a essere luogo umanistico per eccellenza, luogo dove si ricrea la vita, la si rappresenta e perpetua.
Ovunque vi sia una società umana, l’insopprimibile Spirito della Performance si manifesta. Sotto gli alberi in piccoli villaggi, o sui palcoscenici ipertecnologici delle metropoli globalizzate; negli atri delle scuole, nei campi e nei templi; nei quartieri poveri, nelle piazze urbane, nei centri sociali, nei seminterrati, le persone si raccolgono per condividere gli effimeri mondi del teatro, che noi creiamo per esprimere la complessità umana, la nostra diversità, la nostra vulnerabilità, nella carne vivente, nel respiro e nella voce. Ci riuniamo per piangere e ricordare, per ridere e riflettere, per imparare, annunciare e immaginare; per meravigliarci dell’abilità tecnica e per incarnare gli dei; per riprendere fiato collettivamente di fronte alla nostra capacità di bellezza, compassione e mostruosità. Veniamo per riprendere energia e rafforzarci; per celebrare la ricchezza delle nostre differenti culture e dissolvere i confini che ci dividono. Ovunque vi sia una società umana, l’insopprimibile Spirito della Performance si manifesta. Brett Bailey