Era lì, in mezzo alla campagna profumata, e le bare e l’odore dei cimiteri erano alle sue spalle.
Aveva vent’anni e la sua benedizione lo aveva tenuto lì e continuava a fargli compagnia.
Gli era toccato fare la strada a piedi. Aveva posseduto una bicicletta, fino a pochi giorni prima. L’aveva messa insieme con pezzi ritrovati qua e per la catena non avevo trovato il grasso; ma il tedesco Heinle gli aveva regalato mezzo litro di gasolio (non sapevo si chiamasse Heinle, quando gli regalò il gasolio: lo scoprì solo dopo). Al suo sguardo stupito aveva risposto indicando le ruote sgonfie dell’autocarro parcheggiato accanto alla casamatta.
— Tanto a me non serve — aveva detto. Insomma: aveva immaginato avesse pronunciato queste parole, perché nessuno dei due parlava la lingua dell’altro e si spiegavano a gesti. Quindi accettò il dono e lubrificò la catena della bicicletta. Che volò quando mastro Emanuele venne in paese a cercare la moglie e la figlia che gli erano sparite di casa.
Si trovava sulla porta del beccamorti, quando il vecchio – ma non era poi tanto vecchio, mastro Emanuele, non aveva nemmeno cinquant’anni; era quel continuo strizzare d’occhi mezzi ciechi che gli faceva il viso pieno di rughe – iniziò a bussare a tutte le porte e chiedere: — Avete visto Rosaria? Avete visto Irene? — E a ogni porta che si apriva si ingrossava la folla che assieme a lui bussava e chiedeva: — Avete visto Rosaria? Avete visto Irene?
Lui aveva la bicicletta appoggiata al muro accanto all’uscio e, pure se lasciava la bottega incustodita, si unì a loro e cercò di capire cosa era successo. Ed era successo questo: erano venute in paese per il mercato, la mattina, ma a casa non c’erano più tornate.
Allora saltò subito sul sellino.
— Sentite, mastro Emanuele, faccio una scappata a casa vostra. Magari sono tornate mentre voi eravate qua.
E scappò via con la polvere che l’inseguiva senza riuscire a raggiungerlo. C’era l’aria ardente che saliva dai campi irti di stoppie e gli seccava gli occhi, e immaginò d’essere l’intrepido aviatore impegnato nella ricognizione mentre le mitragliere inglesi graffiavano il cielo. Ma lui era sempre più avanti dei proiettili, sorridente e incurante; e avrebbe voluto che quella corsa durasse per sempre, e lanciava benedizioni al tedesco e al suo gasolio portentoso che annullava ogni frizione e ogni fatica. La sua bicicletta – il suo biplano – era di otto colori, uno per ogni rottame che aveva spogliato dei suoi pezzi migliori per restituire loro la vita. Eppure avrebbe dovuto provare la paura costante che quel coacervo di oggetti resuscitati gli si disfacesse sotto. Ma era giovane e non aveva abbastanza senno, e pensava solo a volare e sognare un ritorno da eroe.
— Sono a casa, mastro Emanuele; sono loro preoccupate per voi.
La sua gamba storpia – la sua benedizione – nemmeno la pensava più. Anche lei, liberata dal pensiero di essere più corta e debole dell’altra, pompava contro i pedali e lo spingeva avanti. Sulla sua bicicletta era uguale agli altri. Anzi, meglio: più veloce, più coraggioso. Avrebbe effettuato la ricognizione e riportato alla base la buona notizia.
— Sono a casa.
— Bravo Vincenzo.
Avrebbe tirato fuori il petto e si sarebbe appoggiato al manubrio dal lato della sua benedizione, per sembrare più ritto, per sembrare più alto.
Invece la casa era vuota. Continua a leggere (pdf)