“Il tempo che ci vuole” di Francesca Palumbo merita le “3 penne di Billy”

Creato il 11 settembre 2012 da Lucianopagano

“Gli studenti raccontati dall’insegnante scrittrice”
“Il tempo che ci vuole” (Besa) di Francesca Palumbo su “Billy, il vizio di leggere”

Francesca Palumbo partiva avvantaggiata, lei gli studenti li conosce bene, insegnando.
Ma il vantaggio poteva ribaltarsi facilmente, perché non sempre è facile tradurre in un romanzo il mondo scolastico.
Francesca Palumbo invece c’è riuscita e il suo “Il tempo che ci vuole” (Besa) è un romanzo che coinvolge e colpisce, perchè riesce a tratteggiare storie contemporanee, immaginate, ma reali, che ci costringono a riflettere sul vuoto esistenziale che provoca la nostra mancanza di tempo, attenzione, partecipazione.
La crisi della studentessa protagonista, il difficile dialogo che prova a imbastire con l’insegnante, le pareti quasi isolate acusticamente di genitori distanti e chiusi ossessivamente nei loro fallimenti, l’amore che si spezza in nome dell’egoismo edonista, ci fanno immergere in una storia italiana dove protagoniste sono la scuola e la famiglia. Diversa la scuola da come possiamo immaginarcela, se tanti anni fa ci siamo lasciati alle spalle il suono della campanella.
L’impegno e la partecipazione sono un quadro ingiallito, l’urlo muto della solitudine dei giovani è una richiesta di aiuto troppo spesso inascoltata. La famiglia è una stazione di passaggio, non delle diligenze di un tempo, ma di noi tarscinati dal nocchiero moderno, il tempo accelerato, sovrano dispotico delel nostre vite, che ci costringe a correre sempre più velocemente, rinunciando all’ascolto, alla parola, all’abbraccio, impossibile senza una sosta.
Il diverso, che vive di lentezza e sguardo lungo, riuscirà a deviare l’epilogo violento. “Il tempo che ci vuole” (Besa) crediamo che sia il romanzo giusto per iniziare la scuola, per genitori e studenti. Un libro letto e consigliato dai “viziati”.

Merita le tre penne di Billy

Billy, il vizio di leggere
Info:
Besa Editrice

Monica Dionubile ha quasi diciassette anni, vive a Bari insieme a sua madre Laura che è malata di depressione e passa la sua vita a tormentare la figlia. Dunia Bonerba è figlia unica di Luca e Marina; i suoi genitori sono una coppia serena che regala sensibilità e spensieratezza a una ragazzina semplice, a tratti ingenua e molto legata a Monica, sua compagna di classe. Le due ragazze si completano a vicenda: la leggerezza di una si unisce alla complessità dell’altra, è come se tra di loro ci fosse un accordo di “mutuo soccorso” di cui, in realtà, è solamente la giovane Dionubile ad aver bisogno. Lei è così intristita e poco interessata alla sua vita da vivere alla giornata. È così profondamente sola e disillusa che anche l’avvenimento di aspettare un bambino, naturalmente non desiderato, è affrontato nella più completa apatia. Il ginecologo che segue distrattamen te l’aborto è Carlo, marito di Giulia, amico di vecchia data di Luca e Marina, che racconta all’uomo di avere l’ennesima relazione extraconiugale. La donna per la quale ha perso la testa si chiama Roberta Mori ed è la psicanalista che ha in cura la madre di Monica. In questo disfacimento quasi totale, il porto franco di Monica è la casa di Dunia, dove ha la possibilità di conoscere suo nonno che, molto malato, ogni volta che la vede la scambia per la sua amata moglie Ornella oramai morta da tempo. C’è poi il rapporto speciale con il suo professore di lettere, Girardi, un docente atipico che ascolta i suoi alunni, li osserva e non si limita a etichettarli con un numero sul registro o un cognome da ricordare al momento dell’interrogazione.
Testimone oculare delle storie di ognuno di questi personaggi è il barbone Lacca, un tenero clochard che costruisce piccoli portacenere colorati in latta e che ha un ruolo determinante nel destino di Dunia e Monica.



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