Qual è stato il periodo più lungo che avete passato in un'azienda, prima che il contratto – interinale, a termine, a progetto e chi più ne ha più ne metta – arrivasse alla scadenza? Un mese, un anno o due? Sta di fatto che, dalla riforma Treu in poi, cioè da quando si è deciso di mettere le mani sulle regole del mondo del lavoro, le possibilità di un indeterminato stanno andando, via via, scomparendo.
E cercano di convincerci in tutti i modi che è giusto così: "il posto fisso è monotono", "la flexicurity permetterà a tutti di avere un lavoro", "il posto fisso non esiste più", "ce lo chiede l'Europa" e tutte le altre litanie, più o meno condivisibili, più o meno credibili, che ci propinano con l'obiettivo di farci accettare le – fin troppe – riforme del lavoro, fatte da questo o da quel Governo.
Il vero problema, l'abbiamo sempre scritto, è che queste riforme hanno solo aumentato le possibilità di USCIRE dal mondo del lavoro, introducendo ed ampliando i contratti a tempo determinato, in tutte le forme possibili, tralasciando, consapevolmente e colpevolmente, di affrontare i problemi per l'INGRESSO nel mondo del lavoro, che ostacolano l'ampliamento dell'occupazione (tasse, burocrazia, infrastrutture inadeguate, basso livello di innovazione).
Perchè? Perchè la soluzione a questi problemi è lunga, difficile, dispendiosa e poco conveniente per una classe dirigente, a volte parassita, spesso incapace, sicuramente sprecona. Molto meglio una bella riforma del lavoro: più facile, immediata e spendibile elettoralmente. Intanto, i veri problemi continuano a causare disastri a livello economico, con conseguente esplosione della disoccupazione. E, naturalmente, a farne le spese sono sempre i più deboli.
Il posto fisso, insomma, sta sparendo e casi, come quello del collega, saranno sempre di meno, purtroppo. Attenzione, questo non vuol dire che il grido deve essere "viva il posto fisso assicurato a vita", perchè non è questo il vero problema. Faccio un esempio, a me vicino.
Nel corso della sua pluriennale carriera lavorativa, mio padre ha cambiato spesso azienda e, per qualche anno, ha, addirittura, operato in solitaria, come artigiano. Altri tempi: passando da un indeterminato all'altro, poteva permettersi di spuntare condizioni contrattuali, lontane anni luce, dagli odierni stage, co.co.pro o finte partite iva.
E' questo, quindi, il vero nocciolo della questione, ovvero la libertà di scelta: del collega, che, per comodità o attaccamento all'azienda, ha passato quasi tutta la sua vita lavorativa, praticamente, nello stesso posto; di mio padre, che per ambizione personale o semplice voglia di mettersi in gioco, ha cambiato ditta, più volte. Scelte entrambe condivisibili ed entrambe criticabili, ma pur sempre libere.
Ecco, se c'è qualcosa che, da lavoratore pluriprecario e a scadenza continua, posso invidiare alla generazione precedente, è proprio questa possibilità di scelta.
Oggi, non è più così: non avendo un contratto a tempo indeterminato, non ho le spalle coperte; di conseguenza, la mia posizione contrattuale, come quella di milioni di altri precari, risulta debole. La scelta, quindi, non è più nelle mie mani, ma in quelle del mercato che, ovviamente, si avvantaggia della sua posizione dominante.
Con il Jobs Act, poi, le cose non possono che peggiorare: demansionamento, rinnovi senza alcun limite nè obbligo (addirittura, fino a 9 anni, sembra) e totale assenza di tutele permetteranno alle aziende di disporre di una manodopera a prezzo sempre più basso, ma comunque qualificata che, naturalmente, se vuole portare a casa la pagnotta, non potrà far altro che accettare quello che gli viene offerto, senza alcuna possibilità di scelta.
Non è più il mondo del lavoro di una volta.
Danilo