Il tempo della narrazione

Creato il 15 ottobre 2012 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Riceviamo, tra le tante, un’offerta di collaborazione corredata da alcune note motivazionali significative. Chi scrive, infatti, è un aspirante selezionatore, meglio sarebbe dire uno “sgrossatore”, che si propone a noi per effettuare una prima cernita tra le “centinaia di proposte editoriali” che riceviamo. Chi ci segue sa bene che ci siamo regolati in modo diverso, ma colpisce, nella candidatura, la granitica certezza con cui l’aspirante scout dà per scontata l’esistenza di una quantità enorme di materiale indegno di essere pubblicato e individua in una incapacità da parte degli editori di scegliere con oculatezza i buoni libri le ragioni della crisi del settore.
Ora, è evidente che i motivi della crisi del settore non stanno nella mancanza di buoni libri. E, come ho già detto, se c’è una parte semplice del nostro lavoro è trovare opere valide, perché tra i tanti aspiranti scrittori davvero non mancano quanti hanno qualcosa da dire e la capacità di farlo. Semmai, come abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, il problema è quello di abituare gli scrittori in cerca di editore a indirizzarsi in modo giusto, evitando di proporre opere che nulla hanno a che vedere con la linea editoriale. Ma, una volta depurato da ciò che non è pertinente, il materiale che resta è spesso valido, in senso assoluto e in senso relativo (cioè rispetto alle nostre specifiche esigenze).
Gli scrittori non mancano, e se qualcosa si può rimproverare agli editori non è l’incapacità di trovare buone opere quanto il non saperle valorizzare. In prima battuta, rinunciando a quella faticosa ma esaltante e indispensabile fase di elaborazione e costruzione in cui, insieme all’autore, si rifinisce e si migliora l’opera (e in questo campo, scusate se ce lo diciamo da soli, abbiamo la presunzione di non essere secondi a nessuno). E poi, ovviamente, cercando di trovare il giusto spazio, la vetrina adeguata e la visibilità meritata per opere che devono arrivare al lettore, e non rimanare patrimonio di pochi.
Circa questo secondo aspetto abbiamo parlato tante volte, forse persino troppe, delle difficoltà che incontriamo e degli stessi limiti soggettivi che ci gravano. Ma credo che, riconosciute le nostre inadeguatezze, non possiamo fare a meno di constatare che, purtroppo, siamo in buona compagnia: perché sono tantissime le opere di valore pubblicate ma invisibili, confinate in nicchie troppo anguste rispetto a quanto meriterebbero per quella tanto invocata qualità che, quando c’è (e spesso c’è), non viene valorizzata, scoperta e riconosciuta dalla filiera commerciale.
Tanto che, alla fine, sorge il dubbio: ma esiste davvero questa pletora di lettori in cerca di editoria di qualità, innovativa, non griffata, magari sperimentale? O si tratta di una fata morgana che crediamo di vedere abbacinati dai riverberi prodotti dalla gran massa di invocazioni in tema, forse però frutto dell’attivismo (in rete e non solo) di un circolo tutto sommato ristretto, ancorché vivace e partecipe?
È un problema che ci siamo posti, senza risposte definitive. E, in aggiunta, nel nostro particolare caso ci siamo posti anche il dubbio sulla scelta “tematica” iniziale (dare spazio alla narrativa attenta alla realtà sociale dell’Italia contemporanea), elogiata a parole da tanti, ma forse (sussurrano le voci maligne) inadatta in un’epoca di crisi in cui alla riflessione si preferisce l’evasione.
Noi continuiamo ad avere convinzioni e sensazioni positive. Per questo ci apprestiamo a un ulteriore investimento (in lavoro e creatività) per dare spazio alla narrazione, per favorire lo scambio di idee ed esperienze, per fare cultura civile. Ne saprete di più, a brevissimo, e siamo certi che si tratterà di una proposta interessante per molti.
Ma vi prego di tenere a mente, sin d’ora, due avvertenze. La nostra iniziativa servirà (non solo a noi, a tutti) per capire quanta è la voglia di ascolto e attenzione, già sapendo che quella di parola ed esternazione è alta. E, come capirete cammin facendo, ancora una volta chi vuole “consumare” cultura sarà opportuno che si ponga nell’ordine di idee che questa non può essere (o, perlomeno, non in questa società) un bene gratuito.


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