E ci sono tanti lavoratori che con il posto di lavoro hanno perso anche un posto nella vita. Che con la cassa integrazione hanno ritrovato una possibilità di tempo che non avevano mai avuto, solo che non sanno che farsene di questo tempo. Più facile abbandonarsi sul divano di casa, come un naufrago al relitto. Più facile abbandonarsi a un senso di colpa che fa più male perchè è una colpa che non si spiega.
Ecco, prima di tutto c'è questo. Però poi c'è un sindacalista un po' a modo suo, che forse non sa bene che fare dopo che è finito il periodo della lotta, ma sa che qualcosa va fatto. C'è l'idea che al sindacato non serva solo un delegato sindacale, ma anche, chiamiamolo così, un delegato sociale, capace di fare i conti anche con la sofferenza delle persone e del modo con cui questa sofferenza si intreccia con il lavoro (e il non lavoro).
E c'è questa idea strampalata. Di costruire tra gli ex lavoratori una sorta di gruppo di auto aiuto - nemmeno fossero alcolisti anonimi. Di farli incontrare con uno come Massimo Cirri, che non è solo la voce di Caterpillar, è anche un uomo che per un quarto di secolo ha lavorato nei servizi pubblici di salute mentale. Uno che al primo incontro viene presentato come il "nostro psicologo" e la cosa perfino la disturba. C'è silenzio, a quel primo incontro, c'è l'aria che si taglia con il coltello di quando non si sa bene perché si è dove si è. Finchè arriva il pianto di una lavoratrice che scioglie qualcosa. E molte altre cose si mettono in movimento.
Poi c'è quest'altra idea strampalata. Di fare scrivere i lavoratori. Magari con l'aiuto di Elena Varvello della Scuola Holden. Mancava solo una scuola di scrittura, assieme alla Camera del Lavoro e a uno come Massimo Cirri. Eppure funziona. Non sarà il lavoro, ma l'idea che un futuro ci può essere. Perfino il tempo della cassa integrazione non è più il tempo del lavoro perso, ma un tempo che in qualche modo va speso e speso bene.
Da tutto questo ne è venuto fuori un libro - Il tempo senza lavoro (Feltrinelli) - nel quale Massimo Cirri, incidentalmente ma non tanto, ci spiega come l'Italia ai tempi d'oro dell'Olivetti aveva saputo proporre il primo personal computer del mondo. L'Ibm era schiantata di invidia. Ma più che la concorrenza era stata l'Italia stessa a liquidare un settore - l'informatica - che pareva non avesse futuro. Meglio le macchine da scrivere.
Ma insomma, questa è un'altra storia. Il libro è da leggere per questo: perché è una storia sulla parola che racconta e svela, che alleggerisce e cura.